I colloqui tra le fazioni libiche in Marocco, Algeria e a Bruxelles sono falliti. Che le cose non andassero per il verso giusto lo ha confermato il parlamento di Tripoli rigettando senza mezzi termini la bozza negoziale che circolava la scorsa settimana. Le milizie di Misurata non avrebbero accettato mai un parlamento con sede a Tobruk, con una durata di ancora due anni, e la censura dei sostenitori dei Fratelli musulmani. Era questo che figurava nell’intesa rimandata al mittente da Tripoli.
E così per correre ai ripari il mediatore delle Nazioni unite, lo spagnolo Bernardino León ha passato due giorni alla Farnesina per incontrare il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni prima, i diplomatici europei e del Medio oriente poi con lo scopo di riprendere in mano la matassa libica.
Ormai le speranze di un accordo tra militari filo-Haftar e islamisti di Tripoli sono ridotte al lumicino. Neppure regge la possibilità che si arrivi ad un governo di unità nazionale, come prefigurato nelle prime riunioni. Le defezioni di Tobruk, la cui aviazione ha spesso bombardato la capitale libica mentre i diplomatici discutevano del futuro del paese, non hanno certo aiutato il raggiungimento di un’intesa.
Gentiloni ha ancora una volta confermato il sostegno italiano al mandato di León, che dura ancora sei mesi dopo la proroga stabilita dal Consiglio di sicurezza Onu. Ma questa volta è chiaro che bisognerà puntare su altri schemi negoziali per arrivare all’intesa che metta fine alla crisi libica. Una possibilità, ventilata nei colloqui di ieri, potrebbe essere di ricorrere a elezioni anticipate ma se dovessero svolgersi nella stessa cornice del voto dello scorso maggio, imbevuto di censure, instabilità e totale disaffezione popolare, non contribuirebbero a risolvere il caos libico. Un’altra via d’uscita potrebbe essere un nuovo round negoziale allargato che potrebbe tenersi in Europa, anche in Italia, ma la possibilità di discutere nel vecchio paese colonizzatore non mette certo d’accordo i diplomatici libici che da settimane si contendono l’ambasciata a Roma a colpi di minacce.
Prima di arrivare in Italia, León aveva avvertito che le sfide per il raggiungimento di un’intesa restavano invariate. «Non posso essere ottimista» che si arrivi ad un accordo prima del Ramadan, il mese di digiuno che scatta a giugno, aveva avvertito. La strategia appiattita sul sostegno a Tobruk e Haftar inizia però ad avere chiare defezioni: i laburisti non passa giorno che non critichino l’operato del governo inglese in Libia. A loro si uniscono le voci della stampa statunitense che ha definito il sostegno ad Haftar, come «approssimativo e impreciso».
Nonostante questo, un nuovo intervento armato farebbe ulteriormente a pezzi il paese. Lo ha ripetuto ieri l’ex premier Romano Prodi, per settimane considerato come possibile mediatore dell’Onu per la Libia e poi liquidato, secondo Renzi per la sua vicinanza all’ex presidente Muammar Gheddafi. L’azione bellica in Libia per Prodi sarebbe «inappropriata e dannosa».

La chance peggiore – infine – per riportare il paese alla stabilità sarebbe un mandato internazionale al presidente egiziano al-Sisi, come richiesto dal Cairo sin dallo scorso febbraio. L’ex generale continua a mostrarsi come un mediatore credibile. Ieri il ministro degli Esteri egiziano ha annunciato un forum per il dialogo nazionale tra le tribù libiche per questo mese al Cairo. Al-Sisi, nel suo morboso tentativo di portare la Libia nella sfera di influenza egiziana, sembra avere però una sponda formidabile nell’Unione europea. Ieri il commissario Ue per l’Immigrazione, Dimitris Avramopoulos, in visita al Cairo, ha lodato la strategia politica del golpista sanguinario.