Resta alta la tensione, in Venezuela, dopo la fallita rivolta di un gruppo di militari della Guardia nazionale che lunedì aveva occupato la sede dell’unità speciale di sicurezza Waraira Repano, nel quartiere di Cotiza a Caracas, esortando il popolo a schierarsi contro l’«illegittimo» governo del presidente Maduro.

UNA RIBELLIONE rapidamente neutralizzata, e senza alcuno spargimento di sangue, dalle Forze armate bolivariane, e seguita dall’immediato arresto di 27 militari, a cui tuttavia altri potrebbero aggiungersi nelle prossime ore. Un’operazione diretta a seminare il caos nel paese, ha dichiarato il vicepresidente del Psuv Diosdado Cabello, non senza evidenziare come si «sbagli di grosso chi crede di porre fine per questa via alla rivoluzione bolivariana».

Che serpeggi nelle fila dell’opposizione una certa voglia di riattivare le guarimbas, le violente proteste che hanno inseguinato il paese nel 2014 e nel 2017, lo si è visto peraltro già poche ore dopo l’assalto alla caserma, quando, tra varie altre azioni della destra, un gruppo di persone incappucciate ha lanciato bombe molotov contro la Casa de la Juventud Robert Serra, già residenza del giovane dirigente del Psuv assassinato dall’opposizione il primo ottobre del 2014.

È IN QUESTO QUADRO che si svolgeranno oggi, nell’anniversario della caduta del dittatore venezuelano Marco Pérez Jimenez, manifestazioni sia a favore che contro il governo, queste ultime convocate l’11 gennaio dal presidente dell’Assemblea nazionale (An) Juan Guaidó, contestualmente alla sua rivendicazione della facoltà di «assumere le competenze della presidenza della Repubblica».

Ma contro l’An (spogliata nel 2016 dalla Corte suprema di ogni attribuzione costituzionale, per il suo rifiuto di destituire tre deputati accusati di voto di scambio) è arrivata intanto la sentenza del Tribunale supremo di giustizia, che ha dichiarato incostituzionali tutti gli atti dell’organismo legislativo e definito nullo, per «usurpazione di autorità», il giuramento, avvenuto il 5 gennaio, dei suoi nuovi vertici.
Una sentenza che ha suscitato l’immediata reazione di John Bolton, il consigliere alla sicurezza di Donald Trump, che ha ribadito il convinto sostegno Usa all’Assemblea Nazionale come «unica istituzione legittima del Venezuela».

ALL’INTERNO DEL PAESE la situazione resta calda. E anche fuori non mancano gli atti di aggressione contro il governo bolivariano. Una profonda costernazione ha suscitato l’ondata di violenza xenofoba contro migranti venezuelani scatenata dall’assassinio della giovane ecuadoriana Diana Carolina Rodríguez Reyes da parte del suo compagno, un cittadino venezuelano identificato come Yordi Rafael L., avvenuto sabato nella città di Ibarra dinanzi agli occhi delle forze di polizia.

Di gravità inaudita è apparso, in particolare, il comunicato del presidente ecuadoriano Lenin Moreno, il quale, in risposta al femminicidio, ha disposto nientedimeno che «la creazione immediata di brigate per controllare la situazione legale degli immigrati venezuelani per le strade, nei luoghi di lavoro e alla frontiera».

PAROLE, QUELLE DI MORENO, che hanno alimentato una vera caccia ai venezuelani per le strade di Ibarra, suscitando l’immediata reazione del ministro degli Esteri bolivariano Jorge Arreaza, che ha definito la dichiarazione irresponsabile e lesiva dei diritti umani, annunciando l’attivazione di un programma speciale del Plan Vuelta a la Patria, con tre voli già previsti per oggi dall’Ecuador, per i connazionali decisi a rientrare in patria.