Alle otto e mezzo di sera Pier Carlo Padoan arriva a Palazzo Chigi, è il segnale che si va alla ricapitalizzazione preventiva del Monte dei Paschi da parte del Tesoro, dopo che l’operazione privata per l’aumento di capitale di 5 miliardi si è chiusa senza successo. A differenza di quanto accaduto per Etruria &c., finite in fallimento, l’istituto senese è solvente. Ma non ha la possibilità di rispondere positivamente entro il 31 dicembre alle richieste di liquidità fatte dalla Bce dopo gli stress test estivi. Di qui l’intervento statale, che ha comunque bisogno della richiesta da parte dei vertici della banca, riuniti in cda dopo la chiusura di Piazza Affari che ha certificato una nuova perdita del 7,5% per il titolo Mps.
I piccoli risparmiatori hanno risposto all’appello della banca, convertendo in azioni un controvalore di 2,5 miliardi di sub-obbligazioni, che ora saranno restituite. Quelli che sono mancati sono i grandi investitori istituzionali, che a parte qualche caso (Generali) sono rimasti alla finestra. Da parte sua il governo, che è già azionista Mps con il 4%, avrebbe potuto investire fino a un miliardo senza far scattare le clausole europee. Ma anche in questo modo i 5 miliardi necessari non sarebbero stati raggiunti.
Così il cda del Monte poco prima delle nove annuncia: “Nell’operazione non sono stati raccolti ordini di investimento sufficienti a raggiungere la somma di 5 miliardi di euro, necessaria a consentire il deconsolidamento dei non performing loan e il raggiungimento degli altri obiettivi di rafforzamento patrimoniale posti a base dell’operazione annunciata il 25 ottobre e delle autorizzazioni ricevute dagli organismi di vigilanza nazionali e sovranazionali”.
A questo punto interviene la ricapitalizzazione preventiva (articolo 32 della Brrd), e con la nazionalizzazione temporanea dell’istituto (il Tesoro diventerà il primo azionista, forse con oltre il 50%) scatta il burden sharing (la condivisione degli oneri) da parte di azionisti e sub-obbligazionisti. Questi ultimi sono circa 40mila clienti della banca, verso i quali il ministro Padoan si è impegnato ufficialmente in Parlamento, garantendo un impatto “minimo o inesistente”.
Intanto il governo coglie l’occasione per dare il via nella notte in consiglio dei ministri al decreto salvabanche, che è “omnibus”. Dunque non contiene solo la creazione del fondo da 20 miliardi per sostenere le banche in difficoltà, sia garantendo la liquidità che rafforzando il patrimonio. C’è la garanzia statale per il settore, già concordata con la Ue e fino a 150 miliardi, e che per ora non è operativa. Il fondo da 20 miliardi invece è pronto, votato dal Parlamento, e servirà sia a Mps che alle due popolari venete oggi in mano ad Atlante, a Carige e ad altri istituti più piccoli alle prese con problematiche ricapitalizzazioni.
Il decreto omnibus dovrebbe contenere inoltre la proroga di sei mesi del termine entro il quale le banche popolari più grandi hanno l’obbligo di trasformarsi in spa, ora fissato al 27 dicembre, anche se di fatto il termine è stato già congelato fino al 12 gennaio dall’intervento del Consiglio di Stato. Sarebbero poi introdotte alcune altre misure che non erano passate con la manovra: dalla possibilità anche per le Bcc di utilizzare le imposte differite (Dta), all’ammortamento in cinque anni delle risorse versate da Unicredit, Intesa San Paolo e Ubi al Fondo di risoluzione che ha utilizzato 1,6 miliardi per coprire i fallimenti di Etruria&c..
Unica consolazione della giornata, le banche d’affari coinvolte a vario titolo nel consorzio di collocamento e nell’operazione di cartolarizzazione delle sofferenze, comprese JpMorgan e Mediobanca, non riceveranno alcuna commissione. Erano, euro più euro meno, circa 440 milioni.