Da mesi, ormai, assistiamo quasi quotidianamente ai salvataggi di migliaia di migranti da parte delle navi militari dell’Operazione Mare Nostrum. Ma cosa succede dopo? Come viene gestita l’accoglienza? Dove finiscono le persone tratte in salvo dalle navi militari?

La premessa è sempre la stessa: nonostante l’Italia sia interessata da oltre 20 anni ai flussi immigratori, continua a perseguire una gestione emergenziale del fenomeno e, poiché nell’emergenza l’eccezione è regola, accade tutto ciò che non dovrebbe accadere.

La presenza delle navi della marina militare impegnate nella cosiddetta operazione umanitaria Mare Nostrum, nata all’indomani dei tragici naufragi di ottobre con lo scopo di garantire la salvaguardia della vita in mare e contrastare il traffico illegale di esseri umani, ha in realtà provocato la destagionalizzazione degli arrivi, l’incentivazione delle partenze e quindi della tratta di esseri umani, l’utilizzo di imbarcazioni ancora più precarie per il viaggio, la decentralizzazione delle frontiere con le identificazioni a bordo e il collasso definitivo del sistema di accoglienza. E così, dall’inizio dell’operazione gli arrivi sono quadruplicati rispetto all’anno passato, ci sono stati numerosi sbarchi anche in pieno inverno, decine di richiedenti asilo hanno toccato terra avendo già un decreto di espulsione a carico e l’accoglienza è caratterizzata più che mai dalla violazione dei diritti di chi arriva.

Le navi di Mare Nostrum raggiungono terra solo una volta aver fatto il carico massimo dei migranti. Questo è il motivo per cui assistiamo a sbarchi che superano anche il migliaio di persone. E così i profughi di guerra e dittature, dopo aver trascorso anche fino a 5 giorni sul ponte della nave militare, sotto il sole del giorno e nel freddo della notte (durante i quali non vengono informati in nessun modo rispetto a quello che sta succedendo e accadrà), una volta giunti sulla terraferma vengono suddivisi in gruppi di partenza verso diversi tipi di centri disseminati in tutti Italia. Ai più fortunati riuscirà essere accolti in uno dei centri del sistema di accoglienza integrata Sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), mentre agli altri toccherà entrare nello scandaloso circuito della prima accoglienza.

C’è chi finirà in uno dei centri di primo soccorso e accoglienza, allestiti in strutture di varia natura, palestre comunali, tendopoli, palazzetti dello sport, le quali, troppo spesso, divengono il luogo dove i richiedenti asilo sono condannati a vivere per numerose settimane o mesi, a dispetto del limite massimo di permanenza previsto di 72 ore, ovvero il tempo necessario per l’identificazione e l’individuazione di centri di accoglienza.

C’è chi sarà invece direttamente trasferito in uno dei numerosi Centri di accoglienza straordinaria attivati dal ministero dell’Interno in diverse provincie di Italia per un totale di 9.000 posti, sulla base di accordi tra le Prefetture territoriali e gli enti gestori. Si tratta per lo più di alberghi, B&B, case private, appartamenti affittati ad hoc, il cui gestore che ha stipulato una convenzione con la prefettura locale, si impegna a erogare un servizio di accoglienza, a fronte di un compenso di 30 euro quotidiane per ciascun migrante.

L’accoglienza fornita dai Cas, troppo spesso all’insegna della più totale impreparazione, è riconducibile al principale requisito essenziale richiesto, ovvero quello della disponibilità di posti. Poco conta che chi si occuperà dell’accoglienza non abbia alcun tipo di esperienza o inclinazione particolare in questo ambito e che probabilmente tarerà il servizio di ricezione di accoglienza dei migranti esclusivamente in base alle ragioni del profitto.

Del resto la priorità delle ragioni economiche si ritrova in tutto il business della prima accoglienza.
A questa mancanza di condizioni preliminari va aggiunta anche quella di un sistema di controllo sull’attività di questi centri, i quali, nonostante siano in via teorica centri di emergenza, divengono i luoghi in cui i richiedenti asilo finiscono per passare l’intera durata della loro permanenza fino all’audizione con la commissione territoriale, senza che siano a essi garantiti servizi fondamentali, come ad esempio l’assistenza legale, l’insegnamento della lingua italiana o l’assistenza socio-psicologica.

Ad altri richiedenti asilo toccherà invece l’accoglienza in uno dei Cara (centri di accoglienza per richiedenti asilo) governativi, i quali, nel quadro di questo ulteriore e grave sovraffollamento, mostrano ancora più chiaramente la loro inadeguatezza dal punto di vista strutturale e organizzativo. Anche qui viene da sempre rilevata la mancanza di servizi essenziali, in ragione del maggior profitto dell’ente gestore. Neppure sull’attività di questi centri governativi è previsto un sistema di controllo strutturato e le organizzazioni umanitarie possono avervi accesso solo previa autorizzazione del ministero dell’Interno che limita quasi sempre la visita negli spazi comuni, impedendo l’ingresso negli spazi di intimità, ovvero in quelli in cui sono rilevabili le gravi condizioni strutturale e igieniche.

Infine, poiché al peggio non c’è mai fine, c’è chi, in mancanza di posti finisce direttamente in un Cie per diversi mesi. I centri di identificazione ed espulsione, i luoghi della detenzione amministrativa e arbitraria previsti per gli immigrati clandestini irregolari, divengono ora i luoghi di detenzione anche per i richiedenti asilo.
Ecco cosa sta succedendo dall’inizio dell’operazione Mare Nostrum, ecco quali sono le condizioni dell’accoglienza in questa logica dell’emergenza nell’emergenza.

È più che mai evidente la necessità di perseguire una strada diversa che garantisca realmente il diritto d’asilo e un sistema di accoglienza che accolga e non contenga, che integri e non ghettizzi, che sostenga l’autodeterminazione e non il mero assistenzialismo, che protegga e non punisca. Sul sito di Melting Pot Europa è possibile sottoscrivere l’appello ai ministri della Repubblica, istituzioni europee e organizzazioni internazionali per l’apertura di un canale umanitario fino all’Europa per chi sfugge dalle persecuzioni, il diritto di scegliere dove arrivare e un’accoglienza che riconosca il titolo di soggiorno e percorsi di inserimento nel territorio.

* Redazione Borderline-Sicilia