Alla vigilia del suo primo viaggio in Tunisia, Matteo Salvini aveva dato quasi per scontato di riuscire a strappare un nuovo accordo che consentisse rimpatri-lampo e un maggior numero di voli per riportare indietro i tunisini fermati in Italia. «Facciamo poche espulsioni perché chi c’era prima di me ha dormito», aveva ripetuto solo tre giorni fa.

Volato a Tunisi ieri, il titolare del Viminale ha dovuto ridimensionare e di molto le sue aspettative. Di rimettere mano all’accordo bilaterale che consente oggi all’Italia di rimandare indietro non più di 80 tunisini a settimana non se ne parla, anche se Salvini cerca di ridimensionare l’insuccesso: quella in Tunisia è stata «una missione molto proficua. L’inizio di una cammino», spiega il vicepremier prima di risalire sull’aereo che lo riporterà a Roma, aggiungendo di aver avviato le prime intese per incrementare e «rendere più efficace il piano di riaccompagnamento dei migranti nel paese maghrebino». Inutile sperare in qualche dettaglio in più: «Non entro ora nei numeri», sorvola infatti il leghista. Decisamente più esplicito il suo omologo tunisino, Hichem Fourati, che non lascia spazio a dubbi sull’esito dell’incontro: i rimpatri di cittadini irregolari tunisini, chiarisce infatti, avverranno «solo con viaggi settimanali» e non con «rimpatri istantanei», come avrebbe voluto Salvini. E comunque solo una volta che sia stata accertata la nazionalità dei migranti da rimpatriare. Almeno per ora, quindi, tutto resta come prima.

Al d là dei toni roboanti con cui era stato annunciato, quello del ministro degli Interni in Tunisia non era un viaggio facile. Salvini come prima cosa doveva farsi perdonare le parole dette a giugno, quando affermò che la Tunisia «esporta soprattutto galeotti». Proprio per questo – secondo una notizia poi smentita – il premier tunisino Youssef Chahed si sarebbe rifiutato di incontrarlo.

Incidenti diplomatici a parte, sono le condizioni politiche ed economiche della Tunisia ad aver reso tutto più difficile. Una governo con una maggioranza divisa e a un passo dalla crisi. Ma soprattutto la speranza di molti tunisini, soprattutto giovani, di avere una vita migliore. Se infatti per il ministro leghista la priorità è mettere un argine agli sbarchi (i tunisini rappresentano oggi quasi il 20% degli arrivi, 4.487 dei 21.024 registrati nel 2018) dall’altra ci sono i dati forniti recentemente dal Forum tunisino per i diritti economici e sociali secondo i quali il 54,6% dei giovani vuole emigrare per fuggire alla povertà e il 31% di questi è disposto a farlo illegalmente. Numeri che sconsigliano a un esecutivo fragile e in difficoltà di adottare misure che risulterebbero impopolari. «Una volta bloccata l’immigrazione illegale, apriremo dei canali di ingresso legali», ha promesso Salvini.

Per ora, però, l’unico accordo raggiunto riguarda come al solito il contrasto dell’immigrazione. L’Italia fornirà alla Tunisia mezzi e addestramento per fermare i migranti: subito due motovedette e altre quattro nei prossimi mesi, insieme a jeep, radar costieri e collaborazione con l’Afis, il sistema automatizzato di identificazione delle impronte. Ma anche la promessa di un rafforzamento delle relazioni economiche, anche da parte dell’Unione europea. L’obiettivo è di aumentare i controlli delle coste tunisine per fermare le barche con i migranti, soprattutto in un momento in cui la crisi libica potrebbe spingere i trafficanti a spostare proprio in Tunisia le partenze.