Paolo Falconieri (1634 /1704), membro di una delle famiglie più facoltose della Roma secentesca, fu un poliedrico e fine intellettuale al servizio di Leopoldo de’ Medici e di Cosimo III per i quali curò alcuni dei più importanti acquisti artistici. Favorito dalla posizione privilegiata di intermediario mediceo e dotato di conoscenze e sensibilità non comuni, egli raccolse nel proprio palazzetto romano di via Giulia un’importante biblioteca e una ricca quadreria. Una personalità tanto complessa come quella del Falconieri rende legittimo il tentativo di rintracciare alcune delle coordinate intellettuali che lo guidarono nell’allestimento della propria quadreria.

Ricostruita, seppur parzialmente, la sequenza di immagini di cui il collezionista amò circondarsi, non si può fare a meno di interrogarci sull’effetto perseguito che, naturalmente, riguarda campi diversi, da quello economico a quello sociale, da quello culturale a quello estetico. In possesso di una conoscenza capillare di tutti i meccanismi che animano il mercato dell’arte secentesco, egli non esitò a mettere a frutto la sua esperienza ed autorità per concludere ottimi affari. Avvalendosi del suo ruolo, riuscì a far entrare nelle collezioni della famiglia quadri importanti a prezzi piuttosto contenuti come accade, ad esempio, con le opere provenienti dalla prestigiosa collezione Ludovisi, o con la Sacra Famiglia con l’agnello di Raffaello.

Un oculato investitore

Tenta, inoltre, di fare veri e propri investimenti comprando dipinti di artisti che hanno avuto una scarsa produzione pittorica, come avviene nel caso del Bernini, oppure rivolgendo il proprio interesse ai maestri del Cinquecento, reputati sempre una sicura fonte di guadagno. È molto attento all’originalità delle opere soprattutto se sitratta di autori come Raffaello, Tiziano, Annibale Carracci e Michelangelo «che possono, con la giusta stima che se ne dee fare, portare una grande alterazione del prezzo», come scrive in una lettera indirizzata al suo protettore Leopoldo de’ Medici. Accanto all’evidente volontà di perseguire profitti economici e di contribuire al prestigio familiare, scelte estetiche, legate a specifiche curiosità intellettuali, sembrano aver orientato gli acquisti del Falconieri.

Il «gran libro della natura» fu sicuramente al centro degli interessi di Paolo. In ogni sua attività, da quella architettonica a quella letteraria, da quella scientifica a quella pittorica, l’osservazione del mondo naturale costituì l’ispirazione propulsiva per ogni creazione. Galileiano convinto, egli sostenne la validità delle teorie e del metodo elaborati dal grande scienziato pisano anche quando difenderle divenne decisamente scomodo. Per mantenere viva la memoria di Galilei, egli fu tra i principali fautori e finanziatori del monumento funebre che, dopo travagliate vicende, fu eretto solo nel 1737. Crucciato dell’ingratitudine con cui la Toscana stava trattando uno dei suoi migliori figli, Paolo nel 1674 riuscì a convincere il granduca a commissionare a Carlo Marcellini un busto del Galilei, oggi conservato presso il Museo di Storia della Scienza di Firenze. L’esecuzione del ritratto fu seguita e curata personalmente dal Falconieri che, probabilmente, suggerì dei modelli michelangioleschi.

L’insegnamento del grande scienziato che aveva invitato a guardare l’universo con occhi scevri da ogni principio di autorità, fu assimilato in profondità dal gentiluomo romano, membro dell’Accademia del Cimento e poi dell’Arcadia. Collocata in questo contesto più ampio, la spiccata passione nutrita dal Falconieri per il paesaggio (possedeva opere dei maggiori paesaggisti secenteschi, da Poussin al Lorrain, da Dughet a Salvator Rosa) distintiva della sua quadreria e dell’allestimento della sua stessa casa, non sembra rispondere semplicemente a un generico e vago gusto, ma si arricchisce evidentemente di un nuovo valore.

La natura, che è ciò che l’uomo vede, diventa protagonista della scienza e dell’arte, accomunate dalla necessità di «guardare con i propri occhi». Se la scienza nascente indica nel mondo naturale «un grandissimo libro» da studiare, l’Arcadia aggiunge che esso è anche una fonte inesauribile di sentimenti, suggestioni, principi estetici e modelli etici. La predilezione per la pittura di paesaggio dimostrata da Paolo Falconieri, galileiano e arcade della prima ora, non sembra poter prescindere da queste considerazioni. I fitti boschi, i dirupi scoscesi, la fantasiosa stratificazione delle rocce costituiscono straordinari motivi di curiosità per l’intelletto, ma suscitano anche sensazioni forti per l’anima. Tale visione emotiva e non solo razionale della natura, di impronta decisamente pre-romantica, contribuisce a spiegare i gusti letterari del gentiluomo romano, caratterizzati dall’apprezzamento per la poesia di Dante e, a seguire, di Petrarca, ma soprattutto per la produzione letteraria del Tasso. All’amore per la poesia del letterato sorrentino, vero e proprio serbatoio di temi bucolici, si affianca l’ammirazione degli autori che si dedicarono al genere pastorale, Sannazzaro e, soprattutto, Guarini, ispiratore e teorico dell’Accademia dell’Arcadia.

Non solo pastorelle

Le inclinazione letterarie e l’idea della poesia come «pittura parlante» sostenuta dal Tasso, alimentano probabilmente l’ammirazione per Poussin, Lorrain, Dughet, Salvator Rosa, di cui fu grande amico, per proseguire fino ad artisti meno affermati come Livio Mehus e Jacob de Heusch. L’Arcadia, anche attraverso lo studio delle vicende di un intellettuale come Falconieri, si rivela sempre più come un laboratorio di idee in cui scienza, letteratura e arte si uniscono per elaborare modelli di buon gusto, improntati a criteri di razionalità ed equilibrio. Il fenomeno culturale dell’Arcadia, in cui si fondono curiosità scientifiche, principi estetici e finalità didattiche, appare evidentemente lontano dal semplice recupero di «pastorellerie e di arcadici belati» fin dal suo apparire, e non solo per quel che riguarda la seconda metà del Settecento. I libri e i quadri amorevolmente raccolti si rivelano, dunque, davvero come parte integrante della personalità del proprietario, quel «se stesso che ha preso forma di cose», come scrisse Italo Calvino a proposito dei collezionisti in Collezioni di sabbia. La lettura critica dei volumi e dei dipinti posseduti da Paolo Falconieri ci aiuta così a mettere a fuoco la figura di uno di quegli intellettuali che, praticando i diversi campi del sapere, contribuirono ad aprire la strada all’età dei Lumi e, con essa, alla modernità.