I due cortei con migliaia di ragazzi giunti a Palermo con la nave della legalità che marciano verso l’albero Falcone urlando «La città è nostra non di Cosa nostra», chiudono una giornata trascorsa nella memoria della strage di Capaci, ma vissuta soprattutto dagli inquirenti con l’ombra inquietante di una mafia che proprio alla vigilia delle celebrazioni è tornata a sparare e a uccidere per strada in pieno giorno. Un delitto eccellente, quello del boss Peppino Dainotti – assassinato mentre i bambini entravano a scuola – al quale gli investigatori stanno lavorando senza sosta per stringere il cerchio sul contesto criminale e sui due killer che con una magnum 357 hanno crivellato di colpi la vittima mentre era in bici.

Il delitto non poteva non aleggiare sull’aula bunker dell’Ucciardone dove il capo dello Stato, Sergio Mattarella riferendosi alla stagione delle stragi del ’92 ha parlato «di giorni lontani di Palermo, così drammatici, così cupi e così segnati da tanta violenza e tanto dolore» con il ricordo che però «permane pienamente vivido, in Italia e nel mondo». Proprio Dainotti, che era uscito dal carcere l’anno scorso dopo avere scontato 25 anni per omicidio, droga e rapina, quell’aula bunker l’aveva conosciuta bene: era stato uno dei 475 imputati del maxiprocesso a Cosa nostra istruito da Giovanni Falcone e i magistrati del pool, ed era stato dentro le celle dove sedevano boss del calibro di Luciano Liggio, Michele Greco detto il ‘papa’ e Pippo Calò, capo di quel mandamento palermitano di Porta nuova di cui forse la vittima voleva riprendere il controllo. Gli investigatori della squadra mobile per tutta la notte hanno ascoltato parenti e amici del boss. La moglie, incinta, sta organizzando con i familiari i funerali che saranno celebrati domani nella parrocchia di santa Maria della Pace.

Nell’aula bunker il segnale di un omicidio annunciato eseguito a poca distanza del palazzo di Giustizia e in una città sorvegliatissima per l’arrivo di alte cariche dello Stato non è passato sotto silenzio. Anzi. Per il presidente della commissione antimafia Rosy Bindi «la scelta della vigilia dell’anniversario della strage di Capaci per l’eliminazione di un boss se non è voluta è comunque una profanazione della memoria». Profetiche appaiono ora le parole del questore di Palermo, Renato Cortese, che pochi giorni prima del delitto aveva lanciato l’allarme: «Recentemente abbiamo registrato alcune scarcerazioni che ci preoccupano un po’, Cosa Nostra è un’organizzazione criminale costantemente in cerca di leadership, per questo monitoriamo ogni singolo movimento».

Il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti parla di «vigilia di sangue» e di «un fatto terribile». «Sono in corso le prime indagini per capire se c’è una strategia più ampia di quella che sembra in questo momento essere un regolamento di conti interno a un mandamento mafioso di Palermo ma non si può dire nulla di definitivo perché ci sono indagini intensissime», sottolinea. Rita Borsellino, sorella di Paolo, magistrato ucciso in via D’Amelio, meno di due mesi dopo Falcone, parla di «preoccupazione» e di «brutto segnale». E il sindaco Leoluca Orlando aggiunge: «Oggi la mafia non governa Palermo ma esiste ancora, spara, e c’è il rischio che qualcuno pensi possa tornare a governare la città. Dobbiamo confermare una cultura di vita alternativa a quella di morte che in passato ha governato Palermo».

Per Sergio Lari, procuratore generale a Caltanissetta, l’assassinio «è la drammatica dimostrazione che ancora Cosa nostra lavora nell’ombra, che se ha perso la capacità strategica di contrastare lo Stato come avvenne in quei tragici anni Novanta perché non c’è più la Cupola regionale però all’interno dei mandamenti ancora vi è la lotta per conquistare il controllo del territorio». E il ministro dell’Interno, Marco Minniti, riferendosi alle amministrative dell’11 giugno ha garantito che «è compito mio e del ministero che il voto sia libero e sereno». Lanciando poi un appello ai partiti: «Vorrei che ci fosse nella politica una scelta chiara e netta, vorrei che i partiti dicessero: ‘noi i voti delle mafie non li vogliamo».