Eravamo stati facili profetesse prevedendo che il caso Reggio Calabria sarebbe deflagrato dentro il Pd nazionale. La bomba l’ha lanciata ieri il sindaco con un esposto top-secret inviato alla segreteria e alla commissione nazionale di garanzia. E la vicenda diventa così cartina di tornasole

I fatti: domenica scorsa il sindaco Falcomatà caccia l’assessore Angela Marcianò, considerata la longa manus del procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, chiamata da Matteo Renzi nella segreteria nazionale dem malgrado il segretario dem avesse chiesto a Falcomatà la disponibilità a farne parte. Il fatto è che l’ormai ex-assessore conduceva da tempo una sua personale battaglia contro il sindaco.

La risposta al licenziamento arriva con un chilometrico e velenoso post su facebook nel quale l’ex-assessore, all’ottavo mese di gravidanza, parla di «situazioni torbide interne», di «postulanti, più o meno presentabili, tutti in affanno per chiedere favori, commesse o provvidenze discutibilmente legittime,  benefici che evidentemente erano stati loro promessi», e descrive una giunta dedita «agli spuntini in sala Giunta con il bicchiere dell’aperitivo in mano», mentre lei, Impavida eroina della legalità, stava nel suo ufficio «a ricevere le centinaia di persone che volevano esprimermi problemi o bisogni, quelle stesse che oggi mi difendono».

Sempre su Facebook, e sempre con un lunghissimo post la replica l’amministrazione: «L’avv. Marcianò attribuisce, come detto, a questa Amministrazione una serie di situazioni “al limite della legalità” in modo falso e strumentale tanto da farne parte per 32 mesi, pur dichiarando di aver denunciato per tempo alle autorità competenti. Perché collaborare con una persona della quale non se ne apprezza (ma anzi) né il carattere né l’operato?».

Ieri, infine, il colpo di scena che avrebbe dovuto restare riservato: la richiesta di un intervento del partito nazionale. La richiesta di Falcomatà è esplicita: «Chiedo alla commissione nazionale di garanzia del Pd di intervenire su quanto accaduto in città”…Al Pd pongo una questione politica e morale: si può far finta di nulla dinnanzi al fatto dirompente che un membro della segreteria nazionale muova accuse così pesanti al un sindaco del suo stesso partito?»

La situazione per lui, raccontano fonti di Palazzo San Giorgio, si era fatta insostenibile: il giovane sindaco poteva ingoiare il boccone amaro dell’ingresso in segreteria della sua avversaria nella giunta ma non poteva accettare che, forte dell’essere diventata un membro della segreteria, lo attaccasse pubblicamente. «La gente avrebbe pensato che il Pd stava con lei e non con il sindaco», si commenta a Reggio.

In città, per altro, gira con insistenza la voce che l’assessore abbia tirato la corda fino al punto di rottura perché persegue l’obiettivo di candidarsi a sindaco in alternativa a Falcomatà a capo di un centrodestra travestito da civismo. Così quella che sembrava una brillante operazione «renziana»: aprire le porte del partito a esponenti moderati, se non esplicitamente di destra, della società civile si è rivelata un boomerang che ora ritorna addosso al segretario. «Mi sa che su questa roba mi hanno fregato», si è sfogato il leader dem con i suoi collaboratori, alludendo evidentemente a chi gli aveva suggerito di portare in segreteria l’ex-assessore.
Quel che è certo è che il leader dem e il gruppo dirigente nazionale erano stati avvertiti della decisione di Falcomatà e non hanno mosso un dito per fermarlo. È una sconfessione in piena regola dell’ex-assessore rampante cui manca ora solo il suggello formale che potrebbe arrivare a breve dalla commissione nazionale di garanzia. Intanto, la minoranza, per bocca di Andrea Orlando, critica l’ingresso in segreteria dell’ex-assessore.