Stati uniti – Il viaggio di Carol Smith verso il mondo di QAnon

Carol Smith, una madre conservatrice del North Carolina, si iscrive a Facebook nell’estate del 2019. Fra i suoi interessi indica la politica e il cristianesimo – e segue le pagine di Fox News e Donald Trump. In appena due giorni il social, fra i suggerimenti “offerti” agli utenti su cosa e chi seguire, inserisce molti gruppi e pagine di QAnon. Suggerimenti che Carol non raccoglie – ma nel giro di poche settimane il suo feed viene comunque inondato di «gruppi e pagine in violazione delle stesse regole di Facebook, comprese quelle sull’hate speech e la disinformazione». L’esperienza di Carol è un martellamento continuo di «contenuti violenti, estremi, complottisti». Carol Smith, però, non è mai esistita. Il suo è un finto account creato da un ricercatore di Fb proprio per studiare il funzionamento dell’algoritmo. Quello stesso ricercatore posta sull’account a uso interno della compagnia i risultati dell’indagine, analoga a decine di analisi simili condotte dagli analisti di Fb: il «viaggio di Carol», raccontato da «Nbc», si annida fra i documenti interni divulgati da Haugen. Nel 2020 l’Fbi inserisce QAnon fra le «minacce interne» degli Usa: a quel punto ormai ci sono migliaia di gruppi ispirati al “movimento” attivi sul social. E quando la piattaforma decide infine di inserirlo in lista nera, scrive una ricercatrice di Fb, «sapevamo da più di un anno che il nostro ’sistema di raccomandazioni’ spingeva gli utenti verso frange sempre più estreme».

India – La macchina dell’odio contro i musulmani

Sono 340 milioni gli utenti delle varie piattaforme di Facebook in India, che ne fanno il mercato più grande della compagnia di Mark Zuckerberg. Ma il paese asiatico è destinatario solo di una minima percentuale del budget per la lotta alla disinformazione, che per l’87% va agli Usa mentre il 13% è distribuito al «resto del mondo». In India la moderazione è resa ancor più difficile dalle 22 lingue parlate nel paese, e come scrive il «New York Times» «i problemi di Facebook in tutto il subcontinente presentano una versione amplificata delle questioni che affronta nel mondo». Sono infatti decine i documenti interni della piattaforma che sollevano preoccupazioni sull’India, dagli account bot ricollegabili al partito hindu del premier Modi per fare propaganda elettorale alla disinformazione sulla pandemia. Il problema principale, sollevato già nel 2019 da un gruppo di ricercatori di Facebook andato a fare studi sul campo nel Paese, è però quello dell’incitamento alla violenza, della diffusione dei contenuti d’odio e delle fake news sulla popolazione musulmana. Dopo le elezioni, è emerso che nel Bengala occidentale il 40% dei contenuti più visualizzati nel periodo elettorale erano «falsi/inautentici». E gli «account test» per sperimentare l’algoritmo e l’esperienza degli utenti indiani sono stati in pochi giorni sommersi da video, foto e contenuti contro i musulmani, tra cui alcuni estremamente cruenti ma che circolavano lo stesso liberamente sul social.

Duterte, la persecuzione di opposizione e stampa

Prima ancora dello scandalo rappresentato dai Facebook Papers, la compagnia era stata obbligata da pressioni crescenti a fare i conti con il proprio ruolo nelle Filippine. Nel 2020 aveva disattivato tutti i bot e gli account falsi che facevano propaganda per il presidente Rodrigo Duterte e la sua sanguinosa «guerra alla droga» e diffondevano disinformazione, che sono risultati essere legati ai corpi militari e della polizia del Paese. L’esistenza di questo network è stata rivelata e portata all’attenzione del mondo e di Facebook da gruppi di attivisti e dal sito di informazione «Rappler» cofondato da Maria Ressa, vincitrice il mese scorso del Nobel per la pace. La reazione di Duterte è stata dura (ma solo a parole) con Facebook, accusato di sostenere l’opposizione di sinistra: «Sono io che vi permetto di operare qui. Non potete impedirmi di sostenere gli obiettivi del governo». Molto peggio è andata a Ressa, perseguitata da Duterte e dai suoi sostenitori fin dal 2016, oggetto di ben 10 mandati d’arresto e continui insulti e diffamazioni online – in particolare proprio su Facebook.
Alla giornalista Kara Swisher Ressa ha raccontato di aver parlato della persecuzione dell’opposizione attraverso i social personalmente a Zuckerberg. «Volevo che capisse in che modo stava determinando ciò che accade nelle Filippine e a me in prima persona. Gli ho spiegato che il 97% dei Filippini che hanno internet sono su Facebook. E lui mi ha fatto una domanda. Ha detto solo: ’aspetta: e il restante 3% che fa?’».