Un’altra whistleblower legata a Facebook ha detto di essere disposta a testimoniare davanti al Congresso, così come ha fatto da poco Frances Haugen, che il 5 ottobre ha risposto alle domande di una sottocommissione del Senato sul suo ex datore di lavoro.

Questa volta si tratta di Sophie Zhang, la quale durante un’intervista alla Cnn ha affermato che dopo aver lavorato per quasi tre anni come data scientist presso Facebook, si sentiva come se avesse «il sangue sulle mani». Zhang ha aggiunto che la sua attività di whistleblower non comincia ora, e di avere già passato a un’agenzia delle forze dell’ordine degli Stati uniti dei documenti sulla società di Zuckerberg, così come ha poi ribadito su Twitter: «Ho fornito una documentazione dettagliata relativa a potenziali violazioni penali. Per quanto ho capito l’indagine è ancora in corso. È solo che non ho scelto di farla esplodere in prima pagina. Questo mi rende meno un informatrice?».

DOPO ESSERE stata licenziata nell’agosto 2020 per «scarso rendimento», Zhang aveva scritto un lungo promemoria di 7.800 parole, in cui spiegava in dettaglio come credeva che l’azienda non stesse facendo abbastanza per affrontare la diffusione dell’odio e la disinformazione attraverso la sua piattaforma, in particolare nei Paesi in via di sviluppo, consentendo ai regimi autoritari di tutto il mondo di manipolare le informazioni. Il memo è stato poi passato anche a BuzzFeed.
Oltre a pubblicare il promemoria internamente, Zhang lo aveva caricato sul suo sito web personale, e a luglio aveva dichiarato alla MIT Technology Review che Facebook aveva presentato un reclamo al suo server di hosting, e che quindi il suo sito web era stato successivamente messo offline.

LA WHISTLEBLOWER ha detto di essersi sentita incoraggiata non solo dalla testimonianza di Haugen, ma dal sostegno bipartisan con cui, durante l’udienza al Congresso, è stata accolta la discussione su azioni riguardanti la protezione dei bambini nella loro fruizione di internet, e che questa accoglienza è stato l’elemento che l’ha portata ad offrire anche la sua testimonianza giurata.
Durante l’intervista alla Cnn Zhang si è rifiutata di rispondere quando le è stato chiesto quali informazioni avesse fornito o a quale agenzia, così come ha fatto anche un portavoce dell’Fbi, aggiungendo che «l’Fbi generalmente non conferma, nega o commenta in nessun modo informazioni o suggerimenti che possiamo ricevere dal pubblico».

L’unica cosa che si sa riguardo i contenuti forniti da Zhang riguarda l’inazione di Facebook nel contrastare l’abuso della piattaforma al di fuori degli Stati uniti, che rappresentano, però, circa il 90% degli utenti attivi mensili del social network, almeno stando a quanto dichiarato dalla compagnia stessa nel suo ultimo rendiconto trimestrale.

UN PORTAVOCE di Facebook ha già respinto le nuove accuse, affermando che la società, negli ultimi anni, ha investito miliardi in sicurezza e protezione. Affermazione, questa, che è diventata ormai la linea di difesa ufficiale di Zuckerberg ogni volta che viene accusato da una talpa proveniente dalle fila dei sui ex impiegati, cosa che sta diventando sempre più frequente.
Nella sua testimonianza del 5 ottobre Haugen aveva affermato che Facebook non disponeva di risorse sufficienti per i team e per fornire gli strumenti adatti a individuare abusi in lingue diverse dall’inglese, mettendo il profitto davanti alla sicurezza degli utenti.
Zuckerberg in risposta aveva pubblicato una dichiarazione in cui affermava che Haugen dipingeva una «falsa immagine» della società.