Una tegola sul social network più utilizzato nel mondo globale. Una class action contro il colosso di Mark Zuckenberg> è stata infatti presentata ieri alla corte distrettuale del nord della California. L’accusa diretta a Facebook è di spiare i messaggi privati degli «amici», per ottenere informazioni da vendere a chi fa pubblicità. Accuse che Facebook respinge al mittente in maniera molto energica attraverso un comunicato nel quale le si definisce: «Senza merito» ripromettendosi a sua volta di intraprendere azioni legali: «Ci difenderemo».

Nel dispositivo depositato in California da Matthew Campbell dell’Arkansas e Michael Hurley dell’Oregon, da parte di tutti gli utenti Facebook, la denuncia viene esplicitata in maniera diretta: il social network – si sostiene – intercetta i messaggi privati per ottenere informazioni da vendere, garantendosi così un vantaggio competitivo rispetto ai rivali. Nel mirino ci sono i messaggi privati contenenti link per altri siti, che se monitorati contribuiscono ad arricchire il profilo dell’attività web degli «amici». Gli utenti che hanno inviato link attraverso i link privati – si legge nel carteggio – sarebbero milioni di persone. In effetti, solo negli Stati uniti «gli amici» registrati al social network sono oltre 166 milioni. L’azione punta a ottenere al massimo 100 dollari per ogni giorno di presunta violazione o 10 mila dollari per ogni utente che ritiene di essere stato «colpito dalle pratiche di Facebook».

Campbell e Hurley sottolineano come in questo modo venga così messa a repentaglio la privacy dei navigatori, negando proprio uno dei principi cardine promessi da Facebook, ovvero «opzioni di sicurezza senza precedenti» per la messaggistica, come si legge nell’azione legale. E si legge ancora nel lungo carteggio: «Dire agli utenti che il contenuto dei messaggi Facebook è privato crea un’opportunità redditizia per Facebook, perché gli utenti ritengono che le loro comunicazioni non sono sorvegliate e rivelano fatti che altrimenti non rivelerebbero se sapessero che il contenuto è monitorato».

L’azione – la prima a cui Facebook si trovi a difendersi – ricorda un caso analogo avvenuto nel 2004, quando messo sotto accusa era stato Google. Dieci anni fa il colosso di Mountain View si trovò infatti costretto a difendersi dall’accusa di raccogliere dati da messaggi privati, per il servizio di posta Gmail: anche allora il tema era sempre il «monitoraggio di messaggi privati». Caso archiviato alla fine, ma uno quasi identico è stato presentato nel corso del 2013. La tesi della difesa di Mountain View è che: «la scansione dei messaggi è automatica ma nessuno ne legge i contenuti».

Se per Facebook si tratta della prima azione legale, in realtà critiche sulle politiche di privacy e «i comportamenti» nei confronti degli «amici» sono arrivate nel corso degli anni da parte di molti gruppi che chiedono a gran voce che il network cambi le proprie regole. L’ultima in ordine di tempo è diretta contro le modifiche che sembrano consentire l’uso di nomi e immagini di amici per la pubblicità senza ottenere il consenso. Anche qui Facebook nega decisa, sostenendo che si trattava solo di modifiche alle politiche di privacy, ma di tipo puramente «linguistico».