«Connettiamo le persone. Ecco perché tutto il lavoro che facciamo per la crescita è giustificato. Forse a qualcuno costa la vita perché si espone ai bulli, forse qualcuno muore in un attacco terroristico coordinato sulla nostra piattaforma. Ma connettere le persone è il nostro imperativo».

Sono le parole usate dal vice presidente di Facebook Andrew Bosworth in un documento interno del 18 giugno 2016 e pubblicato ieri dal sito Buzzfeed.

Il «promemoria» nell’occhio del ciclone è intitolato: «The Ugly»: il brutto, l’orrendo. E intende dire la «verità». Anzi, l’«orrenda verità» del social media.

Parole che assumono un significato programmaticamente minaccioso dopo lo scandalo Cambridge Analytica, la società finanziata con 15 milioni di dollari dal miliardario filo-trumpiano Robert Mercer di cui l’ideologo di estrema destra Steve Bannon ha ricoperto l’incarico di vice-presidente.

La società è accusata di aver raccolto i dati di 50 milioni di utenti di Facebook e di averli usati per manipolare l’opinione pubblica a fini elettorali. Facebook è accusata di essere il cavallo di troia usato da razzisti per fini elettorali, oltre che una sponda delle trame che hanno portato al «Russiagate», il caso sul quale è stata aperta un’indagine parlamentare negli Stati Uniti.

Non è passato inosservato un dettaglio: il documento «ad uso interno» è stato diffuso nel 2016, nello stesso anno in cui Trump è arrivato alla Casa Bianca e il Web 2.0 ha mostrato il fianco alla «guerra culturale» programmata da Bannon e dai suoi seguaci.

Il promemoria Bosworth rivela come Facebook sia stato costruito su «tattiche di crescita» e sembra avere valore programmatico con frasi come «cosa facciamo», «cosa crediamo», «il nostro imperativo». Il documento è stato diffuso il giorno dopo dell’assassinio di un uomo a Chicago ripreso su «Facebook Live», il livestreaming dell’azienda.

Il 30 giugno 2016 un’adolescente israeliana fu accoltellata a morte da un terrorista che aveva esposto su Facebook i suoi piani. Sfruttando il clamore la piattaforma aumenta l’audience.

Il meccanismo del voyeurismo è noto nell’industria dei media ed è potentissimo su Facebook. Bosworth ha chiarito le ragioni che porta l’economia digitale a riprodurlo: aumentare i «contatti», moltiplicare i profitti. Su twitter ieri ha cercato di correre ai ripari, smentendo se stesso, creando una situazione paradossale.

«Non sono d’accordo – ha scritto- e non lo ero neanche due anni fa quando l’ho scritto. Lo scopo era portare alla luce questioni che meritavano discussioni più ampie». E allora perché l’ha scritto? Perché «il dibattito ha contribuito a migliorare i nostri strumenti».

Non è proprio così, vista la débâcle di Cambridge Analytica. Più che una piattaforma a prova di privacy, oggi Facebook sembra un colabrodo. I presunti intenti manageriali-socratici del 2016 sono diventati un danno politico nel 2018.

Bosworth lavora per Facebook dal 2006 e ricopre il ruolo di vicepresidente dell’azienda nel settore della realtà virtuale e della realtà aumentata. È stato responsabile degli annunci pubblicitari e ha contribuito a creare app come «Messenger», il feed di notizie, chat e gruppi.

Anche Mark Zuckerberg, il fondatore dell’unicorno più discusso della Silicon Valley, ha preso le distanze. In una dichiarazione rilasciata a Buzzfeed Zuckerberg ha definito Bosworth un «leader talentuoso che dice molte cose provocatorie» e ha aggiunto che molte persone, «incluso io stesso, non condividono i contenuti del “memo” interno».

«Non abbiamo mai creduto che il fine giustifichi i mezzi – ha aggiunto Zuckerberg – Noi riconosciamo che connettere le persone non è sufficiente. Dobbiamo anche lavorare per avvicinare le persone. Abbiamo cambiato tutta la nostra missione e l’orientamento aziendale nell’ultimo anno».