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Fabrizio Canfora, antifascismo al Sud tra Croce e PdA

Fabrizio Canfora, antifascismo al Sud tra Croce e PdAIl Liceo Ginnasio «Orazio Flacco» di Bari in una cartolina del 1943

«Dall’armistizio alla Liberazione» Fabrizio Canfora, padre di Luciano: insegnante, intellettuale, studioso, attivista nell’Italia umiliata da regime e monarchia. Adda Editore ristampa «Tra reazione e democrazia» (1945)

Pubblicato 8 mesi faEdizione del 4 febbraio 2024

Fa piuttosto impressione leggere Tra reazione e democrazia Dall’armistizio alla liberazione (8 settembre 1943 – 2 maggio 1945), un libro di Fabrizio Canfora pubblicato a Bari da Luigi Macrì nel 1945 e ristampato ora, in anastatica, da Mario Adda, un altro editore barese (pp. 235, euro 15,00). Fabrizio Canfora (1913-1996) è stato il padre di Luciano, il grande intellettuale e antichista, oltre che filologo e commentatore su giornali e in televisione e varie altre cose che tutti conoscono. Non solo: in parallelo, a maggio di quest’anno, uscirà di nuovo un altro, vecchio libro di Fabrizio, Lo spirito laico. Manifesto degli uomini liberi e liberi cittadini di tutto il mondo: fu pubblicato sempre a Bari, da Laterza, nel settembre 1943, e verrà ristampato dall’editrice napoletana La scuola di Pitagora. Lo spirito laico precedette dunque di un paio d’anni Tra reazione e democrazia, e in pratica uscì subito dopo la prima nascita del governo Badoglio e quando quest’ultimo, dopo l’8 settembre, insieme al Re fuggì al Sud, a Brindisi. Ma era comunque un libro pensato anni prima.

Invece Tra reazione e democrazia raccoglie gli articoli scritti da Fabrizio Canfora subito dopo che Badoglio e il Re si erano stabiliti a Brindisi e pubblicati su vari giornali, prima clandestini e poi leciti, come «Italia libera», L’Italia del Popolo e altri, a cui furono aggiunti altri saggi scritti nel frattempo. A quelle pubblicazioni collaborarono anche diversi amici e compagni di Fabrizio, tutti legati al nuovo Partito d’Azione, il gruppo politico vicino ai fratelli Rosselli e discendente da «Giustizia e libertà», sopravvissuto anche dopo che essi erano stati uccisi in Francia. Fondamentale per il Partito d’Azione nel Sud in quel periodo fu Domenico Pàstina, che ha firmato alcuni degli stessi articoli poi inseriti nel libro di Fabrizio Canfora.

Sia Lo spirito laico sia Tra reazione e democrazia non sono affatto libri semplici, anzi. Ma quello «spirito laico» del Sud – nettamente in contrasto con le concezioni della Chiesa cattolica e naturalmente antifascista – si era creato una vera e propria piccola struttura politica: con un neo-liberalismo contrario a una visione semplicemente liberale – «alla» Croce per intendersi –, che puntava invece a un rapporto ideologico e politico con i socialisti e i comunisti.

Fabrizio Canfora fino alla pensione è stato un professore di Storia e filosofia nel liceo barese Orazio Flacco. Ma aveva avuto in passato anche un’attività culturale estremamente ampia. Era laureato in Giurisprudenza – in Storia del Diritto e non in Lettere – e si era legato al gruppo barese di «Giustizia e libertà» prima della Seconda guerra mondiale: un collettivo rilevante, perché faceva riferimento allo stesso Croce (come si può vedere da una foto del 1943 nell’importante copertina), a Guido Calogero, a Tommaso Fiore, al cognato Michele Cifarelli e alla casa editrice Laterza, che come detto pubblicò Lo spirito laico.

Fabrizio Canfora e la moglie Rosa Cifarelli (entrambi docenti al Liceo «Orazio») nell’aprile 1940, courtesy Luciano Canfora

Ma quel rapporto fu anche il motivo di un duro attacco nel giugno 1942 a opera della polizia fascista, che li considerò tutti antifascisti: e alcuni, tra cui soprattutto Calogero, furono arrestati e condannati. Anche per Fabrizio Canfora finì male. Solo che era ancora militare e fu deferito appunto a un tribunale militare, che lo spedì a Locri, in Calabria, dove però tornò a insegnare in un liceo: fino al luglio del ’43, quando, dopo il colpo di stato, tornò a Bari.

Egli era comunque del tutto ostile a Vittorio Emanuele III. E al primo congresso del CLN del dopoguerra, che si svolse proprio a Bari il 28 e il 29 gennaio 1944, come Partito d’Azione egli propose, insieme a Pàstina, l’arresto del Re. Ma quel loro Partito subì la durissima opposizione e ostilità proprio di Croce, del tutto contrario all’«ircocervo» che si era costituito tra liberali e partiti di sinistra: e ci fu anche l’opposizione degli Alleati, soprattutto gli inglesi, che volevano difendere la monarchia.

Con Croce quindi i rapporti si allentarono. Poi nel ’47 il Partito d’Azione venne sciolto e il professore passò al PSI di Nenni prima e, per le elezioni dell’anno dopo – quelle della grande vittoria di De Gasperi contro il «Fronte» – al PCI. Seguì una limitata vita politica vicina al Partito comunista (e la polizia lo controllava), finché anche di lì non se ne andò nel luglio 1960. Il motivo fu un vero e proprio scontro con Togliatti per un giudizio che Canfora aveva dato sulla DC e l’antifascismo. Era la Dc di Moro e Fabrizio Canfora per il settimanale «Rinascita» aveva scritto contro la DC un articolo molto duro, considerato come un attacco al nascente centro-sinistra. Togliatti lo rifiutò: l’articolo censurato tra l’altro lo si può leggere ora su «Il Calendario del Popolo» del luglio-agosto 2003.

A quel punto, Fabrizio Canfora condusse nuove ricerche di rilievo su vari autori, che tradusse, annotò e pubblicò: per Mazzini aveva già incominciato nel 1939 con le Lettere slave; seguirono Bacone (Novum Organum, ’48), Lessing (Educazione del genere umano, ’51), notevole, dell’etnologo Michel Leiris La nuova logica, ’68; inoltre una Storia della filosofia per le scuole, in vari volumi, con De Ruggiero; e poi altre traduzioni che il figlio ha fatto in modo che venissero stampate o ristampate (come lo straordinario Altare della vittoria di Simmaco e di sant’Ambrogio pubblicato da Sellerio nel ’91). A cui sono da aggiungere vari libri sul federalismo, sul fascismo, sull’educazione: per molti versi, una produzione straordinaria, tutta percorsa da un collegamento interno, e che oggi sarebbe bene conoscere meglio. Si notino naturalmente i rapporti complessi col figlio Luciano, che di certo prese molto dal padre sulla via della politica, per scegliere però anche strade diverse (ma non del tutto): la filologia e la storia classica, prima di tutto, che Fabrizio non affrontò come insegnante, o almeno non nell’università; e poi anche l’analisi e il giudizio sull’URSS, sul Pci, su Togliatti stesso; tra padre e figlio s’individuano però anche alcuni elementi comuni, come la storia del fascismo. Prima o poi qualcuno dovrà analizzare per bene, e in dettaglio, quel rapporto.

Ora l’anastatica di Tra reazione e democrazia spiega molto di Fabrizio. Per cominciare, essa riporta per intero la mozione sua e del Partito d’azione del 28 gennaio 1944, con l’atto di accusa contro il Re che Croce respinse con durezza. Ma, insieme, anche gli altri articoli e saggi, che affrontano in maniera impressionante, e discutono, tutta la storia d’Italia fino al 1945, prospettando varie ipotesi anche per il futuro. Ad esempio un lungo articolo si occupa di quel che erano state e sarebbero state nel futuro la burocrazia e la classe dirigente: con l’ipotesi che la burocrazia sia appunto «quasi un partito essa stessa», che non potrà «non farsi promotrice di parzialità e favoreggiamenti» (vedi le pp. 154-158 tratte da un articolo del 13 dicembre 1944). Oppure a proposito del «vero fascismo» che potrà continuare nel paese anche negli anni successivi al 1945 – e come non pensare anche ai nostri? Era un «vero fascismo» proveniente dall’«impreparazione politica del paese» che avrebbe potuto continuare a lungo (si vedano le pp. 18-23): e qui viene subito in mente un recentissimo libro proprio del figlio, Luciano, Il fascismo non è mai morto, pubblicato da Dedalo. Oppure si tenga conto delle pagine sui rapporti con la Jugoslavia, paese con i dissidi interni («centralismo serbo, antagonismo croato e sloveno e così via»), che allora sembrava fossero stati accantonati dagli uomini di Tito, ma che si sarebbero potuti ancora riproporre con una nuova politica europea: e sembra che parli proprio dell’oggi post-Tito.

Infine si segnalano alcune pagine molto ricche su Il socialismo tedesco del sociologo Werner Sombart, tradotto in Italia nel 1941 e che Fabrizio Canfora studiò a lungo, intendendolo come analisi di una Germania in mutazione: che Sombart aveva capito «con scarsa intelligenza» per quanto riguardava la storia dello spirito, ma con un grande acume a proposito dei cambiamenti intellettuali del paese, al di là del nazismo: «eppure in tutta cotesta torbidezza senti un che di fresco, una sete di vera religiosità» è alla fine il giudizio di Fabrizio Canfora.

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Perché il fascismo non è davvero finito nell’aprile del 1945: un libro di Luciano Canfora
Il fascismo non è mai morto di Luciano Canfora (edizioni Dedalo, pp. 94, euro 13,00) riprende una discussione di mesi fa – nella trasmissione Atlantide – tra Andrea Purgatori e Paolo Mieli, su che cosa significhi oggi fascismo. Ma rispetto a quella discussione fornisce un grande numero di documenti ulteriori, indicazioni bibliografiche e riflessioni, a partire dalla nascita del fascismo nel 1919. Ma non parla solo del neofascismo del partito e del governo Meloni: anche di quanto il regime, terminato il 25 luglio 1943 (ovvero il 28 aprile 1945), ha avuto effetti su regimi, partiti e stati all’estero: la Spagna, il peronismo, Bourghiba a Tunisi, l’Austria, la Francia, la Germania, l’Europa dell’Est ecc.: perché i sovranisti europei (Finlandia compresa) sono un po’ figli del fascismo. E dedica diverse pagine a come gli Usa e la Gran Bretagna accettarono o addirittura esaltarono Mussolini. «Un grande uomo» disse Churchill ancora nel dicembre 1940, a guerra ormai iniziata, riprendendo le definizioni entusiaste di anni prima. Quanto agli Stati Uniti, avevano un ottimo rapporto con l’Italia, paese da tener buon – tanto più col fascismo – perché punto di riferimento degli italo-americani. Infine c’è stata l’Italia di Almirante e quella degli attuali suoi nipoti. Canfora segnala che il segretario del MSI – già funzionario ministeriale nella Repubblica Sociale – al congresso del partito nel 1987 sottolineò che «il fascismo» era «il traguardo» del Movimento Sociale, che non a caso aveva quel nome. E il nome cambiò solo nel ’94, quando Fini, a Fiuggi, a un altro congresso, lo trasformò in «Alleanza nazionale»: voleva stare al fianco del «liberale» Berlusconi ed era il modo migliore. Eppure, guarda caso, ora il nuovo partito resta senza dubbio più legato ad Almirante che a Fini, anche se sempre accanto al partito di Berlusconi.

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