Fabrizio Barca, economista, ex ministro con Monti, coordinatore del Forum Diseguaglianze e diversità. Come valuta il risultato delle urne?

Purtroppo questo esito era prevedibile. I programmi dei partiti di centrosinistra riflettevano solo in parte il fermento sociale e imprenditoriale che c’è nel paese. Ma neppure di quello hanno parlato, penso ad esempio alla sacrosanta proposta Pd di 500mila nuovi alloggi popolari senza consumare nuovo suolo. Non hanno mostrato agli elettori che il centrosinistra è responsabile verso di loro, specie quelli più colpiti dalle disuguaglianze. Sono apparsi responsabili, ancora una volta, verso astratte istituzioni, e gli elettori si sono rivolti a un altro sarto.

A quali istituzioni si riferisce?

L’influenza del neoliberismo è ancora fortissima sul centrosinistra, in particolare sul Pd. Che si è rivolto ai mercati, alle classi dirigenti, come se il punto fosse convincere loro a votarli. C’è stata una marcatura di distanza, un non rispetto verso i potenziali elettori. Non solo non si è capita la profondità delle disuguaglianze sociali, ma c’è stato proprio un mancato riconoscimento degli interlocutori. E il messaggio degli elettori è stato: «Tu non hai capito chi sono, come sto, di che parli?». Questo ha prodotto la ricerca, a tratti disperata, di un altro punto di riferimento: si noti che la somma di Fdi, M5S e Lega fa il 51%, nel 2018 era il 54%.

La campagna del Pd è stata troppo lontana dai problemi concreti dei cittadini?

Il fatto è che non basta spendere soldi pubblici. All’interno dell’ideologia neoliberista si è passati dall’idea che “spendere è sempre male” all’idea che “spendere è comunque bene”. Gli elettori non hanno percepito cosa producesse in concreto questa spesa tranne un sollievo passeggero, ma gli effetti sulla qualità dei servizi? Abbiamo assistito a una sorta di “keynesismo bastardo”. Col governo Draghi non c’è stato un filo di visione del paese, di un futuro migliore. Ma questa improvvisa libertà di spesa non costituisce un’agenda.

Il Pd ha pagato l’identificazione col governo Draghi? Un replay del 2013 dopo la cura Monti?

C’è una differenza enorme tra le due stagioni. Nel 2011 al governo Monti la politica ha chiesto di attuare un’agenda dettagliata per consentire alla Bce di comprare i nostri titoli di stato per evitare il default. In quel caso il Pd si è caricato di un sacrificio durissimo che aveva un obiettivo politico. Ma il senso del governo Draghi quale era? É nato senza una ragione strategica. Per questo è stato assurdo da parte del Pd nobilitare quell’agenda, che non esisteva, come un progetto politico. I dem hanno pagato innanzitutto questa scelta, la campagna elettorale ha pesato fino a un certo punto, è stata solo l’ultima puntata.

I dem hanno puntato molto sull’alto gradimento di Draghi.

Ripeto, il governo è nato senza una missione.

La pandemia, il Pnrr…

Sulla pandemia il ministro della salute è rimasto lo stesso, dunque c’è stata continuità con un lavoro che era stato ben impostato. Il Pnrr era brutto prima e tale è rimasto, un sollievo temporaneo per un corpo malato, ma senza dialogo sociale né attenzione alla qualità di asili nido, trasporti locali, assistenza agli anziani. E se le cose non si vedono i voti non arrivano. Per quanto riguarda il Pd, si è trattato dell’ultimo stadio di un ritiro della politica dal suo ruolo, iniziato negli anni Novanta. Stavolta la politica è proprio scomparsa per dare una cambiale in bianco a un tecnico. Ma quando rinunci a una tua visione strategica per investire un tecnico di questa funzione si arriva al parossismo del ritiro della politica. E nelle urne si paga. Se non racconti per fare cosa, a quale titolo chiedi il voto?

La vittoria di Meloni è anche una rivincita della politica?

Sì, dimostra la volontà che sia la politica a riprendersi la scena. E questo è valso a stadi diversi anche per il voto a Lega e M5S. C’è la ricerca di qualcuno che si faccia carico di ciò che si muove nella pancia della società. Quando la politica lascia un vuoto, in democrazia questo tende a riempirsi. O con forme di democrazia partecipata o con pulsioni autoritarie. In Italia questo vuoto ha dato vita a fenomeni diversi che si sono susseguiti, dal M5S a Lega e Fdi.

Ora nel Pd si è aperta una discussione sul congresso e sul nuovo leader. Cosa ne pensa?

Nel paese c’è la domanda di un partito della giustizia sociale e ambientale. Questo cogliamo col Forum. Ad oggi non c’è un referente che dia una risposta al fermento che c’è nella società. E sinceramente non so prevedere se questa domanda riuscirà a penetrare nei partiti esistenti, Pd e M5S in testa, a condizionarli. Non so se sarà possibile un processo di rinnovamento attorno al Pd. Finora non ci sono riusciti. L’ultima occasione è stata con le primarie del 2019, la “piazza grande” di Zingaretti. Ha lasciato amarezza. Ci si può riprovare? E avranno realmente intenzione di farlo o si tratta solo di aggiustare i conti tra gli attuali gruppi dirigenti?

É stato detto che non si può essere contemporaneamente Macron e Mélenchon. Condivide?

Qualcuno parla di battaglia tra riformisti e massimalisti, ma è ridicolo. Il nodo del futuro della sinistra è il confronto tra conservatori e radicali. Tra chi ritiene che la crisi climatica, generazionale e sociale si possa affrontare con il paradigma di questi anni e chi ritiene che serva un cambio netto. Mi domando: cosa deve ancora accadere perché si capisca che bisogna cambiare strada? Che portare le esperienze radicali che già ci sono a sistema non è una utopia? Eppure ci sono pezzi di società che già indicano la strada.

E quale sarebbe?

Noi come Forum da tempo ci concentriamo su tre capitoli: occorre trasferire potere (e non sussidi) verso i giovani, le donne, i migranti; creare servizi essenziali, educativi e della mobilità, a misura dei territori combinando saperi tecnologici e locali; e poi, la conoscenza e la ricerca come bene comune dell’umanità, a partire da una infrastruttura europea della ricerca. Questo è un esempio di visione radicale, quella conservatrice ritiene che basti far cadere denaro a pioggia.

Sarebbe utile archiviare il Pd e dar vita a una nuova forza di sinistra?

La cosa fondamentale è che le visioni di conservatori e radicali si confrontino davvero, dentro e fuori dal Pd. Il conflitto di idee è importante e necessario, ma un processo così non si fa in pochi mesi. Per farlo non c’è occasione migliore che stare all’opposizione di un governo di destra. Questo conflitto è utile qualunque sia l’esito finale, e cioè la rifondazione del Pd o la nascita di nuovi soggetti. Basta essere consapevoli che questi nodi non si risolvono cambiando un segretario.

É preoccupato per il governo più a destra della storia?

C’è in questa nuova maggioranza una natura conservatrice che è coerente col draghismo, e cioè neoliberismo più sussidi. Non credo che questa formula possa dare risposte al malessere sociale che si è espresso nelle urne e temo che l’opposizione non riesca a opporre una difesa forte dei più deboli rispetto al prevalere dei vecchi patti retrivi tra imprese e corporazioni, la solita Italia che non vuole cambiare. Ma temo anche che trovino spazio frange con una matrice razzista e misogina che finora sono rimaste ai margini, un pezzo pericoloso di questa destra che ricorda il peggiore trumpismo e che potrebbe minacciare chi occupa case per povertà, i migranti, il mondo Lbgtq+. Sì, temo un clima da “liberi tutti” in cui si faccia largo una feccia aggressiva, maschilista, violenta. Per la nuova premier sarà un compito difficile tenerli a bada.