La crisi e la mancanza di una politica industriale sta trasformando l’Irpinia in un deserto dal punto di vista produttivo: «In tre anni sono stati cancellati 2.561 posti di lavoro nel settore metalmeccanico – racconta Sergio Scarpa, segretario provinciale della Fiom di Avellino -, 18 aziende chiuse in due anni. Naturalmente parliamo delle fabbriche di dimensioni medio grandi, perché per quelle piccole, scarsamente sindacalizzate, non abbiamo numeri certi».

I dati sono impietosi: l’82% dei lavoratori è in cassa integrazione, solo il 18% è composto da lavoratori attivi; su 40 aziende 38 usufruiscono degli ammortizzatori sociali. Solo due aziende della zona vanno a pieno regime: la Ema che produce per conto della Rolls-Royce pale per velivoli civili e militari; la Cofren che realizza freni ferroviari soprattutto per il mercato francese.

Se la Ema ha assunto a gennaio 25 nuovi lavoratori, il comparto automobilistico Fiat rischia di sparire del tutto dall’Irpinia. La ex Fma, trasformata dal Lingotto in Fga, è la fabbrica dalle maggiori dimensioni del settore con i suoi 1.867 dipendenti: produce motori soprattutto per il gruppo torinese, attualmente è al sesto anno di cassa integrazione, le linee sono operative in media sei giorni al mese. Il suo indotto locale si è quasi dimezzato dal 2008 a oggi. La Fiat a dicembre 2011 ha chiuso la Irisbus che produceva mezzi su gomma per il trasporto locale, cancellando in un colpo circa 1.400 posti tra diretti e indotto. A gennaio era previsto un tavolo al ministero dello Sviluppo economico per la creazione di un polo per il trasporto pubblico, coinvolgendo partner stranieri e la Menarinibus di Bologna, ma i continui cambi di governo e le giravolte della politica hanno prodotto nuove dilazioni.

La regione promette l’impiego di 31milioni per chi investe nell’avellinese e assume personale in mobilità: «Sarà un nuovo sperpero di risorse – conclude Scarpa – visto che non esiste una politica volta al futuro. Addirittura rischiamo di trovarci con infrastrutture appena completate vicino a fabbriche chiuse. Corriamo il rischio che lo stanziamento finisca nell’edilizia: la manodopera non viene stabilizzata ma si cancella altro verde. Ogni tanto sento che c’è qualcuno che annuncia la ripresa perché la cig è in calo. La verità è che ormai molti lavoratori finiscono direttamente licenziati. Oppure quelli che erano in cassa integrazione scivolano in mobilità. Così i conti nel 2015 sembreranno migliori ma i lavoratori, o ex lavoratori, saranno sempre più disperati».