Dopo una settimana di alta attenzione, è opportuno fermarsi per analizzare la situazione dell”affare F-35″, alla luce delle dinamiche politiche generate dalla respinta mozione “No caccia” presentata da Sel e M5S (più qualche parlamentare Pd e di Scelta Civica) e dei risultati concreti derivanti dalla mozione della maggioranza approvata.

Per prima cosa, non è stato un “giorno del giudizio” inappellabile che ha segnato per sempre il programma di acquisto del progetto militare più costoso della nostra storia. Sia per la natura politica dell’atto “mozione”, sia per le caratteristiche della partecipazione italiana al progetto Joint Strike Fighter che, in questa fase, ha cadenza produttiva e decisionale di respiro annuale. Fino al 2018 la fase di produzione “in lotti” non costringerà il nostro governo, e gli altri partner, ad alcuna decisione pluriennale e vincolante.

La percezione di questi giorni come snodo sul tema F-35, in parte corrisponde a verità. Perché dimostra come il punto “politico” vero della discussione alla camera (le divergenze fra ministri, riunioni ed incontri dei parlamentari Pd, pressione governativa sulla faccenda) sia la pressione dell’opinione pubblica – frutto soprattutto di anni di campagna delle reti della Pace e del Disarmo che per prime (www.disarmo.org/nof35 sito della campagna “Taglia le ali alle armi”) – capace di costringere il parlamento a confrontarsi in maniera più attenta sui caccia e sulle spese militari. Anche con il risultato non certo soddisfacente, qualche elemento positivo per il futuro si può trovare.

La mozione a prime firme Marcon, Spadoni, Beni e Sberna ha spinto il Pd a una discussione molto partecipata in cui, per la prima volta, la parte maggioritaria dei deputati si è espressa verso una critica agli F-35. Anche questo è un dato rilevante.

Il testo finale della maggioranza è solo flebilmente positivo per chi punta a cancellare l’acquisto dei caccia. Ma l’esplicita sospensione di “ulteriori” acquisti (l’aggettivo è rilevante) non ha una determinazione temporale certa. È sparito il riferimento diretto ad una commissione di indagine sui sistemi d’armamento. Certamente il riferimento all’articolo 4 della legge 244/12, in vigore da pochi mesi e che trasforma la procedura delle acquisizioni militari per il nostro paese, è importante e rimette in gioco il parlamento. Ma richiamare il governo al rispetto di una norma già di legge è quasi una tautologia. In più non si conoscono ancora le regole e le procedure di attuazione di tale nuovo impianto legislativo degli acquisti armati dell’Italia. Il parlamento verrà interpellato a ogni singolo contratto di acquisizione? Per tutti i passaggi di un programma? O ci sarà, come per le missioni militari, un’unica richiesta di parere omnicomprensiva? Va poi ricordato come le commissioni competenti non avranno potere di vita o di morte su ciascun programma, ma potranno respingerne l’articolazione annuale motivandola eventualmente con una «mancata coerenza con il piano di impiego pluriennale» proposto dal governo.

Ed è proprio questo dettaglio che potrebbe costituire la forza della sospensione prevista per gli F-35. Perché per quanto riguarda l’Italia il programma è realmente «non coerente» con il piano di impiego pluriennale. Il ministero della difesa infatti da anni stabilisce in 13 miliardi circa il costo complessivo degli aerei, incurante della cospicua riduzione ipotizzata da 131 a 90 velivoli. Come è possibile? Soprattutto alla luce degli ultimi dati disponibili sui tre aerei già acquisiti dall’Italia il cui costo unitario, esclusa la quota parte di sviluppo, è ben oltre i 150 milioni di euro.

Ci sono altri elementi del programma JFS «non coerenti» con le linee di indirizzo della difesa. A partire dal numero di velivoli effettivamente acquisiti: non è facile per un progetto così complesso stabilire il momento esatto dell’acquisto. Su come verrà considerato questo aspetto si gioca molto dell’efficacia della sospensione prevista dalla mozione. Non è un caso quindi che i fautori del programma abbiano da subito celebrato il voto alla camera come una propria vittoria (Aeronautica militare su tutti), fiduciosi di trovarsi di fronte a una sospensione di facciata o contenti di aver scampato il pericolo della mozione No F35.

Lo stesso ministro Mauro ha marcato il territorio delle fasi di acquisto parlando di 14 caccia già messi sotto contratto. Un’interpretazione estensiva: in realtà fin qui si sono concretizzati solo alcuni passi preliminari. Il nodo politico sul programma F-35, sui suoi costi e (poveri) ritorni e soprattutto sulla valenza strategica e di modello permane tutto. Un lato che si prefigura cruciale per la discussione al senato, ormai in vista, di analoghe mozioni. E che non potrà essere eluso ulteriormente, come giustamente nota il direttore di Analisi Difesa Gianandrea Gaiani: «Nessuno in parlamento discute del fatto che con l’F-35 ci metteremo tecnologicamente nelle mani degli Usa per i prossimi 50 anni. Rinunceremo alla capacità industriale e strategica acquisita con precedenti programmi europei costati moltissimo al contribuente e trasformeremo la nostra industria da progettatore, produttore ed esportatore di aerei da combattimento in sub contraente dell’americana Lockheed Martin. Inoltre gli Stati Uniti avranno il controllo diretto sui nostri F-35, aspetto potenzialmente pericoloso per la sovranità nazionale, tenuto conto che gli interessi di Italia ed Europa non sembrano coincidere sempre con quelli di Washington».

Anche per questo il commento più corretto del voto alla camera è arrivato dall’ex ministro della difesa Arturo Parisi: «La formula adottata non è un esame superato, ma solo rinviato. Per rispetto di tutti, e soprattutto dei cittadini, va riconosciuto che la domanda posta da Sel e M5S, la stessa rappresentata da molti parlamentari Pd, è una domanda di carattere nitidamente pacifista che chiede soprattutto a chi, come me, non la condivide una risposta seria». Ad un certo punto sul caccia F-35 e sulle spese militari una risposta definitiva dovrà essere data, anche dal parlamento.
*coordinatore Rete Italiana per il Disarmo. La versione integrale del pezzo da stasera sarà sul blog www.altreconomia.it/signoridelleguerre