È guerra di nervi sul «forte ridimensionamento» dell’acquisto degli F35 del programma Joint Strike Fighter da parte dell’Italia. Ieri, nella vigilia del voto della commissione difesa di Montecitorio sulla relazione del capogruppo Pd Gian Piero Scanu è partito un fuoco preventivo – la metafora bellica è inevitabile – sull’assemblea dei deputati che, in serata, doveva ratificare il testo. La riunione, in effetti, si conclude a tarda senza senza colpi di scena. Passa la moratoria dell’acquisto per rinegoziare il contratto e così arrivare al «dimezzamento del budget». Il testo viene approvato dai dem senza un voto formale. Il che però potrebbe essere un espediente per lasciare le ’mani libere’ a qualche deputato, una volta che il testo arriverà in aula.

Ma in mattinata notizie di agenzia anticipano che si tratta nei fatti di un «accordo governo-Pd» sui tagli alla difesa, fra cui il ridimensionamento della Forza Nec (Network enabled capabilities) nel progetto ’Soldato futuro’, il programma di digitalizzazione dell’esercito. Il core business dell’intesa sarebbe il «dimezzamento» del budget degli F35.

Il governo in realtà fin qui ha tenuto un notevole equilibrismo sul tema. La ministra Pinotti ha alternato conferme di tagli a smentite. Il presidente Renzi ha prima rassicurato l’alleato Obama, poi fatto filtrare indiscrezioni sul suo ok al taglio dei caccia, salvo eliminarne uno, dicasi uno, nel Def. Ma l’apposita indiscrezione sulle intenzioni dell’esecutivo, in piena campagna elettorale, basta a scatenare le «forti riserve» dell’Ncd e di Scelta Civica.

Il governo, qualsiasi mossa intenda fare, procede su un campo minato. Da una parte l’impopolarità della spesa (faraonica, 14,3 miliardi in 15 anni, ma la cifra viene spesso messa in discussione) ben oltre l’area dei pacifisti, che comunque il 25 aprile hanno riempito l’Arena di Verona per gli «stati generali del disarmo» (con Strada, Landini, Camusso, don Ciotti, padre Zanotelli). Un passo falso di Renzi sarebbe una manna per la campagna elettorale di Grillo.
Dall’altra parte c’è la sensibilità non disinteressata degli alleati del governo, insieme a un gruppetto di fan degli F35 del Pd. Per non parlare dell’alleato americano, che negli scorsi giorni ha di nuovo battuto un colpo.

L’ambasciatore a Roma John Phillips ha dato l’affare per concluso: «Noi abbiamo accordi con l’esercito italiano e si è detto che si andrà avanti. Forse si dovrà rallentare l’acquisizione, ma non credo ci sia alcun interesse nel ridurne il numero». Fra l’altro la riduzione dei caccia potrebbe non significare una proporzionale riduzione dei costi.

Le pressioni sul Pd, che in commissione difesa ha la maggioranza per far approvare la relazione, sono fortissime e provengono «da alcuni vertici del partito e delle istituzioni». Il ripensamento della «moratoria» nei fatti dell’acquisto è sempre dietro l’angolo. Ieri lo ha rivelato anche Francesco Vignarca, della Rete Disarmo: «Secondo quanto abbiamo appreso sono stati proposti dal capogruppo Speranza all’assemblea dei deputati Pd alcuni emendamenti al testo base che eliminerebbero la moratoria in attesa della decisione finale. Una cancellazione che renderebbe inefficace qualsiasi presa di posizione generica sui caccia, dando invece continuità agli acquisti e alle spese relativi agli F35», anticipa. E c’è di meglio, per Vignarca: «Ancor più grave è l’idea di non subordinare l’elaborazione del Libro Bianco che dovrebbe rimodulare un nuovo modello di difesa dell’Italia ad un voto parlamentare».

Per la legge 244 del 2012 il controllo sull’acquisizione dei sistemi d’arma spetta al parlamento. Anche se il Consiglio supremo di difesa, presieduto dal capo dello stato, non ne è convinto. Il braccio di ferro continua. Butta acqua la ministra, che rimanda più avanti la patata bollente: il governo ha avviato il lavoro sul Libro Bianco, ha ribadito ieri, lì ci saranno risparmi. E quindi anche «la rimodulazione del programma F-35», dopo che si è già deciso di risparmiare «153 milioni sui lotti non contrattualizzati».