Pd e Pdl dicono, insieme, che l’Italia non si ritirerà dal programma Joint Strike Fighter-F35. È finita così, ieri alla camera. Con un dibattito amaro e combattuto a colpi di citazioni di Don Milani e De André fra la maggioranza e l’opposizione di Sel e 5 stelle, che insieme avevano presentato una mozione per la cancellazione della partecipazione italiana alla progettazione e all’acquisto dei caccia, chiedendo un diverso utilizzo dei previsti 14 miliardi di euro. Nello stesso giorno in cui il governo riesce a trovare appena poco più di un miliardo da investire sul lavoro.

La mozione pacifista prende 136 sì e 378 no; perde per strada una ventina di voti di firmatari, alcuni dei quali ritirano persino la propria amichevole astensione dopo aver ascoltato interventi a sberleffo dei 5stelle («Il testo è una supercazzula», «Siete il partito derogatrico»), che in aula espongono foto di stragi di guerra. «La nostra opposizione è incoraggiante, non scoraggiante», polemizzerà poi il voto il capogruppo Sel Gennaro Migliore. Ma alla fine i democratici in dissenso sono meno del previsto. Solo il cattolico Pd Enrico Gasbarra vota sì, in una ventina non partecipano al voto, fra loro Pippo Civati, Rosy Bindi, Fausto Raciti, Gero Grassi, l’ex presidente dell’Arci Paolo Beni. Una decina gli astenuti. Il testo della maggioranza passa invece a pieni voti, 381 sì e 149 no.

I mal di pancia democratici, come l’acquisto dei caccia, sono rinviati alla fine dell’indagine che svolgerà la commissione difesa (ma di questo nel testo non c’è traccia). Del resto il ministro della difesa Mario Mauro aveva previsto quest’esito con largo anticipo: «Li avevano votati da separati, sarebbe strano che non li votassero ora che sono uniti».

Così è andata. La maggioranza ha faticosamente raggiunto un accordo sull’ennesimo rinvio. Si rinvia l’acquisto degli «ulteriori» F35, dopo i 10 già comprati. Ma ben attenta a non chiamarla «sospensione» per non spaventare le gerarchie militari e le lobby delle armi.

Del resto, sospensione non è. «La camera impegna il governo a non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione degli F35 senza che il parlamento si sia espresso nel merito ai sensi dell’articolo 4 della legge 244», dice il testo. Gian Piero Scanu, il negoziatore che insieme a Andrea Manciulli per il Pd ha trattato fino all’ultimo con Renato Brunetta (Pdl), rivendica il buon risultato. «Da oggi nessun ministro avrà la titolarità di decidere quanti aerei si comprano. Non sarà acquistato un solo cacciabombardiere senza che lo abbia deciso il parlamento. Il paese ci chiede di non sprecare quattrini, non spendere male i soldi. Da oggi i tutto cambia. Quando sarà chiamato a decidere se privilegiare i servizi sociali o la spesa militare, sono sicuro che saprà cosa fare». «Ma non è questo il parlamento? Perché non può deciderlo ora?», chiede in aula Nicola Fratoianni (Sel). «Non è serio dire una cosa e farne un’altra», attacca il pacifista Giulio Marcon, in aula, bandiera della pace annodata intorno a collo, (tutti i vendoliani ce l’hanno) snocciolando il lungo elenco delle dichiarazioni made in Pd favorevoli al taglio degli F35: Bersani, Renzi. Ma era prima del governo delle larghe intese.
Oggi il Pd deve fare i conti con l’alleato di destra. Non solo: deve fare i conti anche con la sua storia. Sono stati i governi di centrosinistra dal ’98 ad oggi ad aver puntato sul programma F35. E così capita che sia l’ex ministro Parisi a svelare il trucco della mozione: « La formula adottata non è un esame superato, ma solo rinviato».
«La nostra battaglia, insieme alle associazioni di pace e alla campagna Taglia le ali alle armi, continua. L’impegno a non fare nuove acquisizioni è comunque un primo risultato positivo, vigileremo», promette Marcon.
«Da qui in avanti sarà il parlamento a stabilire se e in quale misura proseguire nell’acquisto degli F35 o di qualunque altro sistema d’arma», annuncia con soddisfazione il democratico Gianni Cuperlo, che pure all’assemblea dei deputati aveva svolto un’appassionato intervento per chiedere il taglio degli F35. Ma sarà davvero il parlamento a decidere? Non precisamente, assicura Donatella Duranti (Sel): «È vero che il parlamento, o meglio le commissioni difesa all’unanimità, possono esprimere un parere sulle nuove acquisizioni, ma il loro parere non è vincolante. E in ogni caso è il governo a decidere della programmazione pluriennale dell’acquisto dei sistemi d’arma in base alla legge 244, non a caso voluta dall’ammiraglio Di Paola in gran fretta, quando il governo Monti era agli sgoccioli». Sarà da vedere quello che succederà fra sei mesi, alla fine dell’indagine della commissione difesa. Se ad avere in mano il fascicolo F35 sarà il parlamento, a maggioranza Pd-Pdl, oppure direttamente il governo Pd-Pdl. Ovvero il ministro Mauro, che non ha mai nascosto di essere contrario al taglio degi caccia: «Per amare la pace, armare la pace: F35 risponde a questa esigenza», ha detto ieri, esprimendo non a caso la sua soddisfazione per il voto.