F35, oggi il senato vota sull’acquisto
Palazzo Madama Il senato decide di sospendere il programma ma conferma gli impegni. E avvia un’altra indagine conoscitiva. Nel Pd l’anima del no è minoritaria
Palazzo Madama Il senato decide di sospendere il programma ma conferma gli impegni. E avvia un’altra indagine conoscitiva. Nel Pd l’anima del no è minoritaria
Sospendere per sei mesi il programma e rinviare le scelte a un dibattito in sede di Consiglio europeo di difesa, a dicembre. Il voto è previsto oggi ma la maggioranza sembra poterla ottenere con facilità la mozione larghe intese che testualmente dice al governo di «non procedere a nessuna fase di ulteriore acquisizione senza che il Parlamento si sia espresso nel merito». Conferma e rinvio. Si conclude così il dibattito al senato sul programma F-35. Si sospenderanno nuove acquisizioni ma confermando gli impegni. Nel Pd emergono, come si sapeva, due anime. Quella del no resta minoritaria.
Fuori dal palazzo un aereo di carta lungo cinque metri e largo tre viene prima portato a braccia da un finto ministro Mauro e poi stracciato da un gruppo di firmatari dell’appello lanciato dall’organizzazione di campagne Avaaz che in una settimana ha raccolto – un record – 400mila firme. Di chi? «Il sondaggio su un campione di firmatari della petizione – dice Luca Nicotra di Avaaz – mostra che il 22% di loro sono elettori del Pd, 38% sono del M5S e 15% di Sel. 3% altri partiti di centrosinistra». Il Pd però non ne tiene conto. Non tutto il Pd però.
Negli interventi che illustrano tre delle quattro mozioni aleggia spesso il termine «lobby militar industriale» e il dubbio che il programma risponda più a quelle che non alle necessità di difesa. Tre delle mozioni, in opposizione a quella che ha come primi firmatari Zanda (Pd) e Schifani (Pdl) e che è la fotocopia di quella presentata e votata alla Camera, convergono sostanzialmente sullo stesso punto pur avendo firmatari diversi che però, in alcuni casi, ne hanno firmate due. M5S va da solo. Poi c’è la mozione di Sel (firmata però anche da Puppato, Cirinnà, Spilabotte Granaiola, Ricchiuti (Pd) e Mastrangeli (Gruppo misto). Infine la mozione Casson, ossia di quella ventina di senatori del Pd che sono contro senza se e senza ma. Poco prima del dibattito (iniziato alle 17) si era temuto un ritiro della mozione ma invece Casson e compagni non demordono. Tra loro, appunto, anche chi ha sottoscritto quella di Sel. La sostanza è l’uscita dal programma: «Chiediamo che si esca dal programma», dice nel suo intervento Loredana De Petris capogruppo Sel che illustrando la mozione di cui è la prima firmataria chiede che si ripensi il modello di difesa e che sia il peacekeeping la priorità per le forze armate italiane.
Felice Casson (Pd) è il più atteso. L’ex magistrato non ha tentennamenti. Il programma F-35, dice, «va sospeso immediatamente». Parafrasa un verso latino per concludere: «Si vis pacem para pacem». La parola «uscire» ricorre anche nel discorso dello stellato Lorenzo Battista che ricorda la spesa di 14 miliardi ma anche le bacchettate del Consiglio supremo di difesa che si è avocato il diritto dei «provvedimenti tecnici». Rincalza Laura Bignami: prima ironizza sul governo «temporeggiatore», si commuove citando Mandela. Il Pd organizza la sua difesa con interventi sul filo del rasoio come quello di Vito Vattuone Pd che spiega come «la Difesa abbia già avviato con la legge Di Paola un processo di razionalizzazione». Non c’è, dice, una «corsa al riarmo ma un’esigenza di ammodernamento» perché «per costruire la pace (risponde a Casson?) bisogna parlare col coraggio degli strumenti cautelativi». Conclusione: indagine parlamentare conoscitiva e rinvio.
Pd, Pdl, Scelta civica non mandano i big (a parte Giovanardi e Tonini alla fine) a illustrare in aula le tesi del governo. Per il Pdl c’è il senatore Gualdani. Per Scelta civica, tra gli altri (i più convinti con la Lega), il sì lo dà il senatore Di Biagio che usa ragionamenti già noti (costi-opportunità) e qualche termine fuori luogo (pseudo-pacifisti). Del resto, come ha rivelato ieri il sito di Unimondo, proprio durante il governo Monti il militare l’ha fatta da padrone. E non solo per il si alla legge Di Paola: ammonta infatti a 2.7 mld di euro il bilancio delle autorizzazioni all’esportazione di armamenti rilasciate dall’esecutivo dei tecnici (ma il valore esatto, corretto un trucco di attribuzione, è di quasi 3 miliardi di euro). Sono inoltre cresciute le effettive consegna di sistemi militari che nel 2012 sfiorano anch’esse i 3 miliardi di euro. L’anticipazione sulla Relazione annuale sulle esportazioni di sistemi militari dà ragione A Di Biagio. Se vendiamo tanto potremo ben anche comperare.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento