La manifestazione di Extinction Rebellion del 18 settembre scorso, quando otto attivisti si incatenarono in cima alle colonne del Palazzo Reale di Torino per attirare l’attenzione dei media troppo silenti sulla crisi ecologica e climatica, era stata colpita da altrettanto denunce penali. Una raccolta fondi e un lungo iter legale hanno accompagnato questi dieci mesi d’ansia.

Ora, arriva la notizia che la gip Silvia Salvadori del Tribunale di Torino ha accolto la richiesta di archiviare le denunce della pm Elisa Pazé, che ha smontato punto per punto le contravvenzioni contestate dalle Questura di Torino: «Accensioni ed esplosioni pericolose» (articolo 703 del codice penale), per aver acceso fumogeni di 40 secondi durante la manifestazione, e «inosservanza dei provvedimenti dell’autorità» (articolo 650 del codice penale), per non essere scesi dalle colonne quando ordinato dalla polizia. Entrambe i reati non sussistono.

Tra gli otto manifestanti che salirono sulle colonne – gli altri erano in piazza – c’era Paolo Marchetti, 35 anni fisico torinese, da quasi 3 anni attivo nel movimento nonviolento Extinction Rebellion, che dal Regno Unito si è esteso in tutto il mondo con iniziative di disobbedienza civile, teatrali e colorate, sui temi del cambiamento climatico. Azioni che vogliono fare pressione sui governi affinché attuino «interventi immediati» e sui media per richiedere «verità» sulla gravità della situazione. «Sono felice dell’archiviazione – dice ora Marchetti a caldo – significa che qualcosa nella giustizia funziona. Le denunce erano, d’altronde, pretestuose e spropositate. Dobbiamo difendere il diritto di poter esprimere pacificamente il dissenso su un tema che riguarda tutti, ma di cui si parla troppo poco. È la base della democrazia. Non c’è più tempo da perdere, ma purtroppo i Paesi continuano ad andare in direzione contraria».

La pm Elisa Pazé ha scritto nella richiesta di archiviazione che «l’intimazione di scendere (dalla cancellata), pur legittima, non pare possedere i requisiti di cui all’articolo 650 del codice penale, non essendo il gesto degli indagati tale da mettere in pericolo né l’ordine pubblico, né la sicurezza pubblica». Non regge nemmeno l’altro reato perché «l’avere acceso un unico fumogeno non ha comportato il minimo rischio e non è stato lanciato contro le persone presenti».

Si trattano di motivazioni che segnano una vittoria per il movimento, che lo scorso autunno era stato particolarmente colpito da denunce e multe. Dopo gli attivisti torinesi, toccò a quelli romani ricevere multe, in questo caso per «mancato rispetto del distanziamento sociale» dopo il blocco degli accessi del quartier generale dell’Eni. Accuse ritenute dall’organizzazione «pretestuose». La rete nazionale aveva allora lanciato una campagna di crowdfunding con l’obiettivo di pagare le multe e gli avvocati. Sono stati raggiunti quasi 20mila euro. «L’umanità è di fronte a un bivio. Siamo entrati nella sesta estinzione di massa della storia e le persone che stanno cercando di dirlo, oggi, vengono ripetutamente ricoperte di multe e denunce», commentano.

Le azioni del movimento sono caratterizzate da una forte impatto teatrale e comunicativo. Così è stato anche ieri a Napoli, per il G20 del Clima, dove è stato messo in scena un corteo funebre. Così è stato a Torino. «Il tema che quelle otto persone avevano voluto raccontare, esponendosi al rischio di una denuncia, riguarda l’umanità intera. Riguarda il mondo mediatico che non la racconta in modo adeguato (o non la racconta per niente), riguarda la politica che non riesce a prendere decisioni efficaci e che demanda alle forze dell’ordine la gestione e repressione della legittima manifestazione del dissenso, che in Italia è garantita dall’art. 21 della Costituzione», scrivono gli attivisti torinesi. «Questa vicenda – concludono – riguarda ogni singolo cittadino. È la storia di tutti coloro che ancora credono nel valore della partecipazione e del libero dissenso».