The show must go on. La botta è stata forte ma non c’è tempo per pensarci. Mancano 13 mesi all’inizio di Expo, il cantiere a Rho-Pero deve recuperare grossi ritardi, per non parlare delle altre grandi opere connesse all’evento. Per non finire in tempo può bastare anche solo che il prossimo inverno sia piovoso come quello di quest’anno. Lo ha dichiarato preoccupato l’altro giorno il sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Ma la calamità più grossa che mette a rischio la riuscita della fiera si chiama giustizia. Per questo ieri è andato in scena il vertice della pacificazione con Maroni, Pisapia, il commissario di Expo Sala, il prefetto di Milano e il ministro delle Infrastrutture, il ciellino Maurizio Lupi.

E’ inutile far finta che non sia successo nulla. Settimana scorsa sono stati arrestati i vertici di Infrastrutture lombarde, la mega holding della Regione Lombardia che gestisce tutti i grandi lavori, dagli ospedali, alle strade, Expo compreso. Inutile anche ripetere, come ha fatto ancora ieri Maroni, che le inchieste riguarderebbero il passato, quando governava Formigoni. Sono saltate figure cruciali che hanno retto il giro degli appalti per anni. Persone che non si possono sostituire in un giorno perché sono le uniche che sapevano, bene o male, far funzionare il sistema lombardo. Per questo gli arresti hanno fatto scoppiare tutte le tensioni nascoste che da anni covano sotto l’entusiasmo obbligato per Expo. Nei giorni scorsi Pisapia ha fatto notare a Maroni che è solo sua la scelta di non aver sostituito l’ex direttore generale dei Infrastrutture lombarde Antonio Rognoni prima che finisse nel carcere di San Vittore. Ma ormai si può solo stringere i denti e andare avanti. Non si può riflettere, né recriminare, non c’è spazio per i rimpianti e neppure per dare troppo credito alle inchieste e trarne le dovute conseguenze. E allora eccoli tutti insieme a dire che va tutto bene e che si riparte di slancio. Maroni e Pisapia si stringono la mano, Sala rinserra le truppe e Lupi promette l’appoggio di Roma, anche se Renzi da queste parti non si è ancora fatto vedere e non lo farà prima di aprile.

Il governatore lombardo ieri ha nominato di corsa il nuovo direttore dei lavori sulla piastra espositiva: si chiama Diego Riccardo Robuschi, ingegnere e stretto collaboratore del vecchio direttore Alberto Porro indagato a piede libero. “Ci sono state divergenze – ha glissato Maroni – ma la posizione di fondo è che tutti vogliamo che l’evento sia un successo”. E Pisapia: “Le polemiche sono superate, vedete che siamo sorridenti, non abbiamo perso neanche un minuto, anzi ora si accelera ancora di più”. A mettere sostanza alle belle parole ci ha dovuto pensare il ministro Lupi. Il governo, ha assicurato, non farà mancare le risorse e Milano sarà la sede degli incontri per il nuovo semestre di presidenza europea dell’Italia. E Rognoni? “Io e i miei abbiamo visto in lui una persona di grandissima managerialità ed esperienza – ha detto il ministro – certamente ha contribuito all’accelerazione dei lavori e a far sì che andassero nella giusta direzione. Se poi qualcuno ha sbagliato si assumerà la responsabilità, ma metto il periodo ipotetico”. Per ripulirsi la coscienza e tirare dritto non poteva mancare il benestare internazionale. “Ora serve calma – tranquillizza Vicente Loscertales, segretario generale del Bie all’inaugurazione milanese di una mostra su Expo – bisogna finire in tempo e dare un’immagine positiva, serve una comunicazione chiara e vibrante”.

L’operazione immagine per il momento finisce qui, ma l’inchiesta continua. Oggi Maroni dovrà riferire su tutta la vicenda in consiglio regionale. Fuori il Movimento 5 Stelle sarà in presidio e in aula le opposizioni non potranno proprio fare finta di nulla. Intanto ieri gli otto arrestati sono stati sentiti dal gip per gli interrogatori di garanzia, Rognoni si è avvalso della facoltà di non rispondere. Continuano però a uscire stralci delle carte che li inchioderebbero. Rognoni in una telefonata con Porro avrebbe detto di non lasciare copia dell’organigramma per l’ufficio direzione dei lavori sulla piastra di Expo: “Non scriverti ‘ste robe qui, porca puttana!”. In una altra, preoccupato per l’arrivo della patrimoniale, avrebbe detto “Ho troppi soldi sul mio conto…”. In effetti dal 2008 al 2011 avrebbe guadagnato come lavoratore dipendente 3,3 milioni di euro.

Il passato è duro a morire. Lo sa bene Roberto Formigoni. Ieri la procura di Milano (il pm Robledo, lo stesso dell’inchiesta su Infrastrutture lombardo) ha chiesto il rinvio a giudizio dell’ex governatore per un altra inchiesta, quella che riguarda la discarica di amianto di Cappella Cantone (Cremona). Formigoni è accusato di corruzione. Lo spettacolo continua.