I sogni son desideri. Potrebbe essere questo il motto che sintetizza la giornata milanese di Enrico Letta. Ieri il presidente del consiglio è salito nella capitale morale per dare un «segno». E’ stato proprio lui a definire così la nomina per decreto di Giuseppe Sala a commissario unico di Expo 2015. Dopo anni di faide e ritardi, la manifestazione internazionale su cui Milano ha puntato tutte le sue carte (e i suoi capitali) sconta ritardi impressionanti. E non basterà questa investitura per raggiungere l’obiettivo. E’ sempre Letta ad ammettere che per il suo governo puntare su Expo è un rischio perché il successo è tutt’altro che automatico. Ma almeno il premier è venuto a metterci la faccia. Anche per rispondere al Financial times che ha definito il suo programma un «libro dei sogni» di difficile attuazione.

«I sogni ci vogliono, un po’ di follia visionaria come quella avuta sette anni fa per far partire Expo ci vuole – ha azzardato il premier – oggi siamo qui, i sogni servono oltre il valore arido dei numeri». I numeri, appunto? Quelli della sua maggioranza che certo non era nei sogni degli elettori, e quelli durissimi dell’economia che poco dopo gli ha ricordato il numero uno della Consob, Giuseppe Vegas, a Palazzo Mezzanotte. «Dobbiamo fare crescita, senza indebitarsi», azzarda il presidente del consiglio. Una politica dell’impossibile condita di buon senso e cauto ottimismo. Certo, se non cresce Milano non cresce neppure l’Italia. Almeno di questo Letta ieri sembrava consapevole, ed è già un passetto avanti.

Alla sede di Expo Spa, in via Rovello, si è portato da Roma tre ministri – Maurizio Lupi (Infrastrutture), Nunzia de Girolamo (Agricoltura), Massimo Bray (Cultura) – e un sottosegretario creato ad hoc per Expo, l’ex numero uno del Pd lombardo Maurizio Martina. Con loro c’erano il sindaco di Milano Giuliano Pisapia e il governatore lombardo Roberto Maroni.

«Expo è uno dei punti cardinali, un punto di riferimento essenziale di questo governo – ha detto il presidente del consiglio – da qui vogliamo che venga un messaggio di coesione, siamo una squadra, la squadra Italia che farà sì che Milano possa essere una capitale europea». E ancora: «Expo sarà uno snodo per agganciare la ripresa». Parole dolci per Pisapia e Maroni che però aspettano che il governo mobiliti le risorse necessarie e allenti i cordoni strettissimi del patto di stabilità. Su questo Letta frena: «Ne discuteremo, troveremo soluzioni insieme».

I tempi però sono strettissimi e i gesti simbolici rischiano di essere insufficienti. La storia di Expo racconta bene l’involuzione della politica e del capitalismo milanese (e quindi italiano). Nato da un’idea di Romano Prodi, e fortemente voluto dell’ex sindaco Letizia Moratti, doveva dare un senso all’intreccio di interessi tra finanza spregiudicata e speculazione edilizia, entrambe sempre più infiltrati da corruzione e organizzazioni mafiose.

Per anni tutto è rimasto paralizzato dalla faida tra Moratti e Formigoni. Con la vittoria di Pisapia, Formigoni è rimasto l’unico dominus di Expo. A quel punto però è arrivata la crisi. E Formigoni è stato costretto a lasciare il Pirellone travolto dalle inchieste. La Milano che sognava Expo è già svanita molto prima del 2015, e il sogno adesso rischia di trasformarsi in un incubo di cui però non si può più fare a meno per sperare di risvegliarsi dalla crisi.