La richiesta di condanna a 13 mesi è arrivata mentre Beppe Sala era in volo diretto a New York, dove incontrerà un gruppo di democratici Usa e alcuni investitori interessati a fare business a Milano. Una richiesta di pena attesa e senza particolari colpi di scena, anche se la requisitoria del sostituto procuratore Massimo Gaballo è stata dura. «Sala non è credibile» ha detto il magistrato. Questo è l’ultimo filone dei processi che hanno visto indagato l’ex amministratore delegato di Expo Spa.

Sala è accusato di falso ideologico e materiale per la retrodatazione di due verbali legati al maxi appalto per la costruzione della Piastra dei Servizi di Expo 2015, 148 milioni di euro di lavori, il più importante bando dell’Esposizione Universale vinto nell’agosto 2012 dalla veneta Mantovani con un ribasso record del 42%. A maggio 2012 vennero sostituiti due componenti della commissione di gara per l’assegnazione di questo appalto perché giudicati incompatibili con quel ruolo. I manager di Expo e della Regione Lombardia non si accorsero subito dell’incompatibilità, uno dei tanti ritardi della costruzione di Expo.

La commissione venne nominata il 15 maggio 2012 e si riunì per la prima volta il 18. L’atto di annullamento e il nuovo verbale di nomina dei due sostituti, secondo la Procura generale, vennero firmati da Sala il 31 maggio. La data riportata nel documento era però quella del 17 maggio. Una retrodatazione di 13 giorni fatta perché, secondo quanto dicevano i manager Expo intercettati, c’era il rischio di dover rifare la gara e aggiungere ritardi a ritardi. A maggio 2012 i lavori di Expo erano ancora in alto mare, solo da un anno era nata la società che acquisì i terreni, Arexpo Spa, e l’unico bando fino a quel momento era per la preparazione dei terreni, vinto dalla Cmc.

La gestione Expo era passata di mano dal duo Moratti-Formigoni, responsabile del ritardo sull’acquisizione dei terreni, a Pisapia-Formigoni. Sala nel maggio 2012 era amministratore delegato di Expo Spa, ma non aveva ancora i poteri di deroga da commissario unico, la cui nomina avverrà l’anno seguente per mano del governo Letta. La storia di Expo è segnata profondamente da deroghe, aggiustamenti in corso d’opera, “poteri speciali” usati per arrivare in tempo il primo maggio 2015 con l’apertura dei padiglioni. I governi che si sono succeduti tra il 2011 e il 2015 hanno chiesto a Sala di fare tutto il possibile per recuperare i ritardi dandogli piena copertura normativa con i poteri commissariali. Quello che i No Expo chiamavano governo dell’eccezione: «L’eccezione diventa regola, la deroga diventa norma» scriveva il laboratorio milanese Off Topic.

Il sindaco di Milano in aula nei mesi scorsi si è difeso dicendo di non ricordare nello specifico la firma di quei documenti. «Non ho mai avuto la consapevolezza della retrodatazione» ha detto il sindaco. «Per me l’importante era che Chiesa o Paris (i due più stretti collaboratori di Sala in Expo Spa, ndr) o l’avvocato Mazzarri ne avessero verificato il contenuto. Escludo di aver sempre riguardato dentro le migliaia di pagine di migliaia di atti: non è che firmassi senza guardare, ma la mia era una verifica sommaria, sulla fiducia che i miei tecnici capaci avessero verificato tutto». Per la difesa di Sala quella retrodatazione non avrebbe comunque comportato nessun effetto sui risultati della gara.

Secondo la dura requisitoria del sostituto procuratore Gaballo, Sala «non è credibile dove tenta di minimizzare il problema». Per l’accusa non è credibile anche Angelo Paris, anche lui imputato per falso e ai tempi di Expo responsabile unico del procedimento. Anche per lui è stata chiesta una condanna a un anno e un mese.