Abbiamo assaggiato di tutto. A un mese dall’inaugurazione dell’evento universale apparecchiato per «nutrire il pianeta», la cattiva digestione suggerisce un’idea che ha a che fare con il principio vitale del sistema capitalista: l’insoddisfazione perenne.

Cos’è che non va proprio giù dopo aver trascorso una giornata nel luna park di Rho con le dita unte di finger food e un regalino da portare a casa?

Mangiucchiando tra i padiglioni dell’Expo, e ruminando pensieri sulle «buone pratiche» esibite durante gli «eventi» organizzati per lenire la nostra cattiva coscienza, viene da pensare che il fenomeno della decadenza non possa non avere a che fare con questi deliri gastronomici formato kermesse. Forse lo stomaco diventerà la tomba di un sistema che manda all’ingrasso i suoi simili pasciuti e spreconi e contemporaneamente affama un miliardo di persone.

Non per guastare la nuova religione del mangiare, ma è proprio questa l’insopportabile contraddizione che nessun evento solidale o Carta di Milano potrà cancellare. Tutti gli attori della colossale messa in scena lo sanno: la richiesta che Papa Francesco ha rivolto loro è già stata disattesa. «Vorrei che ogni persona che passerà a visitare l’Expo di Milano, attraversando quei meravigliosi padiglioni, possa percepire la presenza di quei volti. Una presenza nascosta, ma che in realtà deve essere la vera protagonista dell’evento: i volti degli uomini e delle donne che hanno fame, e che si ammalano, e persino muoiono, per un’alimentazione troppo carente o nociva». Qui non c’è immagine o suggestione meno presente.

Nel padiglione dell’Iran vendono un grazioso mortaio in ottone per pestare lo zafferano. La maggior parte dei paesi ha allestito stand turistici. Gli Stati Uniti se la cavano con un videomessaggio rassicurante del presidente e una sequenza di graziosi cartoni animati. Cuba: due banconi, tanto rum. Dal padiglione della Spagna arriva l’eco dell’aperitivo meglio riuscito, si balla. L’installazione svizzera almeno suggerisce l’idea che il cibo non è infinito e non ce n’è per tutti: l’esperimento è offrire sale, acqua, mele e caffè (targato Nestlè) per testare la voracità del pubblico.

Alle 16 vigilantes in grande agitazione sul decumano: ogni pomeriggio c’è la parata del pupazzo Foody e dei suoi piccoli amici che caracollano goffamente nel disinteresse generale. L’idea è che mangiare all’Expo costi uno sproposito, anche per gli spendaccioni: pasta pomodoro e basilico a dieci euro. Però, evento eccezionale perché è vietato, nel padiglione del Giappone un giorno è stato servito sashimi di pesce palla. Le scolaresche in gita invadono i padiglioni per coprire i buchi.

La sera, dalle 19, l’ingresso costa solo 5 euro ed è l’invasione delle cavallette. Alla Cascina Triulza, luogo dell’associazionismo con i contenuti di spessore, poche persone partecipano a un convegno sul no-profit. Ma dicono che più avanti andrà meglio, e il 5 giugno è arrivato il presidente Sergio Mattarella. Per il Big Mac però bisogna mettersi in fila. Nel supermercato tecnologico della Coop c’è un disguido imbarazzante, il cibo non venduto rischia di essere sprecato.

A Milano il dibattito sulla nutrizione del pianeta spacca la comunità attorno a un quesito decisivo: la movida all’Expo penalizza la movida milanese e i commercianti si lamentano. Che fare? Il Papa aveva visto giusto: «Anche l’Expo, per certi aspetti, fa parte di questo paradosso dell’abbondanza, se obbedisce alla cultura dello spreco, dello scarto, e non contribuisce ad un modello di sviluppo equo e sostenibile».

La realtà è questa: produciamo già alimenti per sfamare 12 miliardi di persone. Tutta la Terra più un’altra ancora, appena più piccola. Solo la frutta e la verdura buttate via nei punti vendita in Italia comportano lo spreco di 73 milioni di metri cubi di acqua all’anno (36,5 miliardi di bottiglie da 2 litri). La scarsa alimentazione provoca la metà dei decessi dei bambini sotto i cinque anni nel mondo (3 milioni e 100mila ogni anno). Il cibo che ogni anno si perde solo lungo la filiera agroalimentare è pari a 1,6 miliardi di tonnellate: come 160mila torri Eiffel (valore stimato 400 miliardi di dollari, in Italia lo spreco di alimenti vale circa 13 miliardi di euro). Questo è il più grande scandalo rimosso dell’umanità.

All’Expo se ne parla? Per dovere non solo di cronaca, sì. Ma purtroppo non è questo discorso che vanno cercando i milioni di presunti visitatori votati al consumo.

Quest’anno, sarà che lo slogan è «nutrire il pianeta», sembra addirittura che ci siano buone notizie. Sono numeri. Secondo l’annuale rapporto sulla sicurezza alimentare di tre agenzie Onu (Fao, Pam e Ifad) il numero di esseri umani che soffrono la fame è diminuito a 795 milioni, più del 10% della popolazione globale. Sarebbero 216 milioni in meno rispetto al biennio 1990-1992.

Lo studio sostiene che su 129 paesi monitorati 72 hanno già raggiunto l’obiettivo Onu di dimezzare la denutrizione entro il 2015. «Il quasi raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio sulla fame dimostra che è possibile eliminare questa piaga nel corso della nostra esistenza», ha dichiarato il direttore generale della Fao, José Graziano da Silva.

Forse troppo ottimismo è fuori luogo, perché è evidente che il mondo ha ancora fame. E non sono i «parametri» a rendere giustizia agli uomini e alle donne che non ce la fanno. Prendiamo il Malawi, con i suoi 3,6 milioni di denutriti (nei primi anni Novanta erano 4,3 milioni): per le agenzie dell’Onu è uno di quei 72 paesi virtuosi, ma per la Banca Mondiale rimane uno dei paesi più poveri al mondo, con il 47% dei bambini sotto i cinque anni che soffre di ritardi di crescita a causa della fame. In tutta l’Africa il 23,2% della popolazione soffre di denutrizione. In Asia meridionale fanno la fame 281 milioni di persone. Forse è presto per lasciarsi prendere dall’ottimismo.

In questo contesto, niente come lo spreco di cibo dà l’idea dello squilibrio che esiste tra chi non ha niente da mangiare e chi (tutti noi) sta passeggiando nei padiglioni dell’Expo.

In Europa ogni anno sprechiamo una media di 180 chili di cibo all’anno (quasi la metà finisce nella pattumiera di casa): i più spreconi sono gli olandesi con 579 chili a testa, i più virtuosi, per ovvi motivi, sono i greci con 44 chili sprecati. Ogni italiano butta via cibo per 149 chili, ma erano più di 200 prima della crisi. Solo lo spreco domestico costa agli italiani 8,7 miliardi di euro (circa 28 euro al mese per famiglia).

Più in generale (scrive l’Osservatorio Waste Watcher) il sistema agroalimentare mondiale, lo stesso che si autocelebra e un po’ si redarguisce nella spianata di Rho, spreca il 30% dei cereali prodotti, il 30% del pesce e dei prodotti a base di pesce, il 45% della frutta e della verdura, il 20% della carne e dei prodotti a base di carne, il 20% dei semi oleaginosi e delle leguminose e il 45% delle radici e dei tuberi.

Se ne parlerà spesso all’Expo di buone pratiche per ridurre lo spreco di cibo tra i fornelli di casa, può essere consolante e aiuta a sentirsi migliori. Per il resto, per nutrirlo, questo mondo bisognerà pensare di cambiarlo.