L’obiettivo è raggiungere un’intesa di massima con ArcelorMittal entro il 31 gennaio. Il termine non è perentorio, ma ha un obiettivo ben preciso: evitare il 7 febbraio un nuovo rinvio nella causa civile in corso al tribunale di Milano. Un ulteriore proroga, la terza da novembre, farebbe perdere al ricorso dei commissari straordinari di Ilva in Amministrazione Straordinaria quel carattere di urgenza col quale fu presentato e appoggiato dal governo per evitare l’addio della multinazionale.
Per questo la scorsa notte il premier Conte ha convocato a Palazzo Chigi un incontro per fare il punto della situazione, a margine del Consiglio dei Ministri. Presenti i titolari dei dicasteri del Mef Gualtieri, dello Sviluppo economico Patuanelli e del Sud Provenzano, oltre al consulente del governo Caio.
Sul tavolo i nodi principali ancora irrisolti di una trattativa tutt’altro che in discesa, che dovrebbe portare ad una sintesi delle due proposte di piano industriale. Il governo pensa «ad un piano ambizioso che porterà ad una transizione energetica importante. Ci crediamo e stiamo lavorando tutti i giorni per questo», ha ribadito ieri Conte. L’idea è trasformare il ciclo integrale dell’ex Ilva di Taranto in uno ibrido, con l’innesto di due forni elettrici a supporto di due altoforni. Una tecnologia che ArcelorMittal non possiede.
Per questo, a farsi carico dell’acquisto dei forni e dell’impianto che produrrebbe il preridotto con cui alimentarli (che costerebbe 950 milioni), sarà lo Stato, attraverso l’ingresso di Invitalia nel capitale sociale di Am InvestCo Italy, società con cui ArcelorMittal controlla i rami d’azienda dell’ex Ilva. Con quale percentuale e quali modalità non è ancora chiaro, visto che Conte ha dichiarato che «non sarà una nazionalizzazione», mentre Gualtieri ha confermato che «la maggioranza resterà al privato». Peraltro l’esecutivo vorrebbe nel capitale sociale anche le banche, che attendono la restituzione dei prestiti elargiti all’amministrazione straordinaria in passato. Da restituire tramite il prezzo di acquisto di 1,8 miliardi, sul quale la multinazionale ha chiesto uno sconto.
Altro nodo, gli esuberi. Il nuovo piano industriale della multinazionale ne prevede 5mila. Con la possibilità di scendere a 3mila. Esuberi strutturali e non contingentati al momento di crisi dell’azienda. Il piano del governo ne prevede 1.500, da riassorbire entro il 2023. Senza contare i 1.600 in cig nel perimetro di Ilva e che secondo l’accordo sindacale del 2018 avrebbero dovuto ricevere un’offerta di lavoro da Mittal entro il 2025. Ma anche qualora governo e azienda trovassero un accordo, è certo che i sindacati faranno muro.
Terza ed ultima questione, il ripristino delle tutele legali. Difficile ipotizzare in una settimana un’intesa di massima su questi delicati punti.
Intanto l’azienda ieri ha annunciato il cambio del management che affiancherà l’ad Morselli. Hanno lasciato gli incarichi tutti i manager stranieri delle prime linee, sostituiti da colleghi italiani. Scelta che per alcuni rappresenta l’ennesimo segnale di addio della multinazionale, mentre per altri è un atto semplificare i rapporti con governo e sindacati. Che restano tesi, come dimostrano i fischi che ieri l’ad Morselli ha ricevuto a Genova dagli operai durante la cerimonia per il 41esimo anniversario della morte di Guido Rossa, l’operaio ucciso dalle Br.