Più che un accordo, un rinvio. Il giorno dopo la firma fra commissari ex Ilva e Arcelor Mittal Italia che ha permesso di evitare la discussione del ricorso al tribunale di Milano, dando tempo alle parti fino al 30 gennaio per scrivere un nuovo accordo vincolante, le reazioni dei sindacati – che comunque dovranno sottoscriverlo per renderlo valido – e degli attori locali sono ancora molto guardinghe se non negative.
Alla Fiom che aveva già dato la sua «indisponibilità a firmare un accordo predefinito», ieri si è aggiunto il giudizio molto duro della Uilm. «Non è un accordo ma un compromesso per andare avanti e superare il giudizio della magistratura – attacca il segretario generale della Uilm Rocco Palombella – . Il nuovo piano industriale non è né credibile né praticabile in quanto prevede due società distinte, di cui una a partecipazione pubblica, che produrrebbe acciaio esclusivamente da forni elettrici. La situazione – continua il leader Uilm – potrebbe peggiorare se il 30 dicembre il Riesame confermerà lo spegnimento dell’altoforno 2: avremmo circa 6mila lavoratori in esubero che il governo non sa come gestire. Non possono essere delle vere soluzioni quelle proposte da Patuanelli, ovvero un call center con 300 posti e Fincantieri con altri 100. E comunque nessuno del governo ci ha informato di quanto fosse stato previsto e realizzato. L’accordo del 2018 lo trovammo dopo un anno di trattativa – aggiunge – . Ora come si farà a trovare in un mese?», si chiede.
«Bene che riparta concretamente un negoziato, ma tutte le parti sanno ormai che pastrocchi non sono tollerabili: accordi al ribasso vedranno una reazione convinta dell’intera comunità ionica», avverte il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci.
Si fanno sentire anche i 1.600 lavoratori in amministrazione controllata a Taranto: «È il momento di rompere il ricatto occupazionale. Pretendiamo il blocco immediato della produzione e il tempestivo avvio di un vero programma di bonifica e tutela, così come avvenuto con l’accordo di programma di Genova», chiedono.