«Serve un incontro urgente per individuare al più presto le necessarie e opportune soluzioni a questa drammatica vertenza». Così i leader di Fim, Fiom e Uilm, Roberto Benaglia, Francesca Re David, e Rocco Palombella, in una lettera ai neo ministri dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, dell’Economia Daniele Franco e del Lavoro, Andrea Orlando sollecitano un incontro dopo la sentenza del Tar di Lecce che ha chiesto lo spegnimento dell’area a caldo dello stabilimento di Taranto entro 60 giorni. Una richiesta, dicono, che si tradurrà «nella distruzione graduale e irreversibile degli impianti coinvolti (cokerie, agglomerato, altoforni, convertitore, colate continue, treni nastri), nel blocco di tutta la produzione di laminazione per mancanza di acciaio, nella sospensione di tutte le operazioni di bonifica e degli investimenti di riconversione ambientale previsti» a cui si aggiungerebbe la conseguente fermata di tutti gli altri stabilimenti ArcelorMittal in Italia «con la perdita di migliaia di posti di lavoro».
L’ulteriore peggioramento della situazione, «avvenuto in questi ultimi giorni, potrebbe generare tensioni sociali ingovernabili», mettono in guardia i sindacati che ricordano i ritardi dovuti sia alla complessità dell’accordo con cui lo Stato è entrato nel capitale sociale di Arcelor Mittal Italia sia all’attesa per il pronunciamento dell’Antitrust europeo, arrivato pochi giorni fa. E questo oltretutto, «in una fase in cui filiere industriali strategiche come l’automotive e l’elettrodomestico sono già in sofferenza nell’approvvigionamento dell’acciaio».
Molte le mobilitazioni già in programma: questa settimana per i 1.700 lavoratori in Cigs di Ilva in Amministrazione straordinaria per la mancanza di prospettiva occupazionale e la salvaguardia del reddito; il 24 febbraio uno sciopero di 24 ore per i circa 3mila lavoratori di costretti a rimanere in cassa Covid-19 nonostante la parziale risalita produttiva. A questi lavoratori, denunciano ancora Fim Fiom e Uilm, si aggiungono i circa 6mila lavoratori dell’appalto che continuano a subire «gravi ritardi sul pagamento delle retribuzioni».