L’unico tavolo convocato dal governo Draghi rispetto a un centinaio di crisi aziendali si risolve in un nulla di fatto, in impegni generici, nell’ennesimo rinvio. La confusione sulla vertenza ex Ilva che va avanti da 12 anni aumenta sempre di più.
Come già fatto trapelare nei giorni scorsi, il ministro Giancarlo Giorgetti – durante il tavolo a cui ha partecipato anche il ministro Andrea Orlando – dopo un mese in carica si è improvvisamente reso conto che Lucia Morselli e Arcelor Mittal non sono interlocutori affidabili. E allora i 400 milioni che da accordo Invitalia doveva versare entro febbraio per entrare al 50 per cento nella nuova società – annuncia Giorgetti ai sindacati – non sono ancora sbloccati. Il tutto condito con lo scaricabarile verso i governi precedenti che gli hanno lasciato la patata bollente.
«Voglio dire con chiarezza e trasparenza che è il momento di smettere di dire cose che in realtà non possono essere fatte altrimenti non si troverà mai una soluzione – ha detto Giorgetti – serve una politica industriale e non una mera politica finanziaria».
Per quanto riguarda i 400 milioni a carico di Invitalia, Giorgetti ha annunciato che i soldi arriveranno, se al Mef giungeranno le necessarie rassicurazioni nelle prossime settimane, prima della sentenza attesa per metà maggio sottolineando che «l’obiettivo è far lavorare l’azienda. In quest’ottica anche il piano industriale ha necessità di un aggiornamento. Da parte nostra – ha concluso – intendiamo essere un interlocutore particolare, stiamo approfondendo il dossier perché ci sono aspetti non chiarissimi».
Le reazioni sindacali alle parole di Giorgetti sono state però molto dure. «Non siamo stati noi ad aver scelto Arcelor Mittal ma i governi: dal 2018 ad oggi ne sono cambiati 4 e ogni volta ci si spiega che devono verificare l’affidabilità di Arcelor Mittal. Io non mi esprimo sulla multinazionale ma chiedo, chi l’ha scelta?», risponde la segretaria Fiom Francesca Re David. «I 400 milioni arriveranno per garantire il lavoro e farlo ripartire in questa fase, anche quello dell’indotto: l’intenzione come per Piombino è l’intervento dello stato che diventerà maggioranza. Naturalmente dicono che devono fare tutte le loro verifiche su come si sta muovendo Arcelor Mittal, su come utilizzare i soldi, su quali siano gli obiettivi e così via – spiega ricordando come il coinvestimento preveda anche la nomina di 3 membri del Cda che potranno dunque – svolgere una funzione di controllo».
Molto duro anche Rocco Palombella, segretario Uilm: «Stiamo assistendo di nuovo ad uno scaricabarile, e questa volta ancora più eclatante perché avviene tra due ministeri importanti. La risposta di oggi sull’ingresso dello Stato all’interno del capitale di ArcelorMittal non solo non è certa ma è vincolata al parere del Mef e all’eventuale modifica del contratto realizzato il 10 dicembre scordo proprio tra Mittal e Invitalia. Ci aspettavamo una presa di posizione netta dopo 9 anni dall’inizio della vertenza ma si continua a perdere tempo con il rischio serio che la situazione diventi irreparabile. Sembra quasi che si voglia attendere il giudizio della del Consiglio di Stato del 13 maggio per non assumersi le necessarie responsabilità. Non possiamo attendere i tempi della politica. C’è bisogno di un intervento rapido e risolutivo del governo per gestire la transizione ecologica e del risanamento ambientale indicando piano industriale credibili, salvaguardia dei piani dei livelli occupazionali e tempi certi», conclude Palombella.
«Non mi risulta un piano B ma dico che questo doveva essere l’anno del rimbalzo; siamo a pasqua ma il rimbalzo non l’abbiamo ancora visto. Abbiamo proposto e chiediamo di nuovo a Giorgetti dunque di convocare tutti i soggetti: nessuno può tenere coperte le proprie carte serve una grande operazione di chiarezza sugli impegni che la multinazionale prende», commenta il leader Fim Cisl Roberto Benaglia.