Un protocollo d’intesa non vincolante sul quale costruire il nuovo piano industriale e ambientale dell’ex Ilva di Taranto. Nella speranza che possa portare ad una nuova intesa, questa sì vincolante, entro il 31 gennaio. È quanto concordato ieri mattina nella sede della Libera associazione forense, al primo piano del Palazzo di Giustizia di Milano, l’amministratore delegato di ArcelorMittal Italia, Lucia Morselli, e i tre commissari dell’ex Ilva Francesco Ardito, Alessandro Danovi e Antonio Lupo. A fronte di tale intesa, il giudice civile Claudio Marangoni ha disposto il rinvio della causa tra ArcelorMittal e l’ex Ilva al 7 febbraio, al termine dell’udienza di ieri, a fronte della richiesta congiunta delle due parti. Il giudice nel disporre il rinvio ha dato termine ai legali dell’ex Ilva e alla Procura di Milano di depositare le loro memorie di replica fino al 20 gennaio. Gli avvocati del gruppo anglo-indiano, invece, potranno eventualmente depositare le loro controrepliche entro il 31 gennaio.

IL NUOVO PIANO industriale – chiamato “nuovo green deal” – mira a produrre circa 8 milioni di tonnellate di acciaio entro il 2023, con l’obiettivo di preservare i livelli occupazionali. Nel protocollo d’intesa si parla anche della creazione di una nuova società che sarà finanziata da azionisti pubblici e/o privati (newco) «al fine di implementare e gestire, tra gli altri, ulteriori impianti di produzione di tecnologia verde nel sito industriale di Taranto».

Qualora l’intesa verrà raggiunta, le parti regoleranno la risoluzione della controversia pendente dinanzi al Tribunale di Milano. Nel caso, invece, in cui «non sia stato sottoscritto un accordo vincolante e/o la chiusura di tale accordo non sia stata completata, ciascuna parte avrà il diritto di perseguire le proprie pretese nell’ambito del procedimento pendente dinanzi al Tribunale di Milano», si legge nel protocollo d’intesa.

DA SETTIMANE le parti lavorano ad un’intesa complessa, che vedrà l’ingresso dello Stato nel capitale sociale di AM InvestCo Italy, la società attraverso la quale ArcelorMittal ha preso in affitto i rami d’azienda dell’ex gruppo Ilva. Probabilmente attraverso Invitalia per quanto concerne il finanziamento utile alla realizzazione di un nuovo impianto all’interno del siderurgico tarantino (ma è possibile che venga costruito anche all’esterno), che servirà per produrre il preridotto di ferro che servirà ad alimentare i due forni elettrici che nelle intenzioni entreranno in funzione nel 2023 (costo dell’operazione vicino ai 900 milioni di euro). E che si accosteranno agli unici due altiforni che proseguirebbero la produzione a carbone, l’altoforno 4 e l’altoforno 5, quest’ultimo il più grande d’Europa fermo da quasi tre anni.

UN RUOLO importante in questa delicata trattativa lo giocheranno anche le banche. Perché il primo nodo da sciogliere è lo sconto chiesto da ArcelorMittal sugli 1,8 miliardi di euro offerti due anni fa per rilevare l’ex gruppo Ilva. La multinazionale anglo-indiana avrebbe chiesto una riduzione pari a 300 milioni di euro. Con la somma rimanente di 1,5 miliardi si procederebbe al rimborso dei crediti vantati dallo Stato e dalle banche, che convertirebbero entrambi in capitale. Da qui verrebbe finanziato un aumento di capitale a favore di Invitalia (più che Cassa Depositi e Prestiti) per acquisire il 18% del capitale sociale di AM InvestCO Italy.

Secondo nodo, forse il più complesso da sbrogliare, è la trattativa con i sindacati. Perché l’eventuale nuova intesa dovrà comunque passare attraverso un nuovo accordo sindacale. Organizzazioni sindacali che hanno già messo le mani avanti avvertendo di non essere disponibili ad accettare alcun esubero e soprattutto a non voler firmare un accordo giò preconfezionato. Tesi ribadita anche ieri da Fiom, Fim e Uilm alla notizia del protocollo d’intesa firmato a Milano.

INFINE, resta l’ultimo nodo, quello più delicato sul piano politico: la reintroduzione dell’esimente penale per garantire la continuità produttiva in fase di risanamento degli impianti. Magari non attraverso un provvedimento ad hoc, ma attraverso una norma generale per tutte le aziende che si trovano nella stessa situazione dell’ex Ilva.