Dovevano rivedersi dopo 48 ore. Sono passate due settimane, ricche di contatti ovviamente mai ammessi, ma alla fine il momento della verità è arrivato. Nessuno si aspettava che il secondo incontro fra il governo italiano e i due massimi dirigenti di Arcelor Mitta, Lakshmi e Aditya Mittal, con l’ad Morselli in anticamera (entrerà solo più tardi), risolvesse la questione. Ma lo sblocco è ora o mai più e si capisce dunque perché la riunione si prolunghi per ore.

GIUSEPPE CONTE, scortato dal ministro dell’Economia Gualtieri e da quello dello Sviluppo Patuanelli, si presenta all’incontro con il bastone in una mano e il ramoscello d’ulivo nell’altra. Il bastone è la guerra giudiziaria ma è anche la presenza di un Paese per una volta unito nella decisione di tenere aperta l’Ilva e di fronteggiare l’offensiva della multinazionale. Proprio ieri, ciliegina sulla torta, la procura di Milano ha fatto proprie le accuse dei commissari, dimostrate del resto dalle ispezioni della Gdf negli stabilimenti dell’acciaieria. La decisione di togliere lo scudo penale ha solo offerto a Mittal una scusa. Il vero motivo della recessione è, come coralmente affermato da quasi tutti sin dall’inizio, è l’insostenibilità del Piano industriale, troppo costoso.

«Lo ripetiamo da settimane: lo scudo è una balla. Ringrazio la magistratura perché ha dimostrato che siamo un sistema-Paese», riassume Di Maio, mettendo in fila gli assi nella manica del governo.

IL PRONUNCIAMENTO netto della procura, proprio alla vigilia dell’incontro chiave, significa che quasi certamente Mittal perderebbe «la battaglia legale del secolo», con penale molto alta. Ma significa soprattutto che in ogni caso l’obiettivo di chiudere la più grande acciaieria d’Europa per impedire che finisca in mano alla concorrenza non sarà raggiunto. Lo scopo del governo, però, è proprio evitare quella battaglia legale che, come dice Conte, «sarebbe una perdita per tutti». Ecco quindi il ramoscello d’ulivo. Le condizioni che il governo italiano propone soddisfano in realtà quasi tutte le richieste avanzate dall’azienda. C’è lo scudo penale, o meglio ci sarà se si troverà l’accordo sul resto. C’è lo sconto sull’affitto, e non si tratta di una limatura ma di un dimezzamento secco.

C’è una strada individuata per evitare lo spegnimento dell’altoforno 2, fissata dal Tribunale di Taranto per il 13 dicembre: saranno i commissari stessi a chiedere il rinvio, anche se per quella data dovranno essere presentati i progetti per una rapida esecuzione dei lavori ordinati dalla procura dopo l’incidente mortale del 2015.

IL NODO SONO i licenziamenti: è quello il vero scoglio. I 5mila esuberi chiesti dalla multinazionale sono sempre stati considerati inconcepibili. Ma Conte sarebbe disposto a una cassa integrazione congiunturale per 2.500, forse anche 3mila operai. La precondizione del governo, però, è che la multinazionale sgombri il campo dall’ipotesi di recessione. «Non possiamo accettare che ci sia un disimpegno. Di lì partiremo», specifica subito prima del vertice.

La bozza d’accordo, però, è in un certo senso solo l’antipasto. Il piatto forte, quello che tiene banco nel lungo vertice che si apre alle 18.30 a palazzo Chigi è l’ipotesi di una partecipazione dello Stato, attraverso un’apposita new company. E d’altro lato una spinta decisiva verso la decarbonizzazione. Su questa base, se le trattative notturne apriranno la strada, si passerà a fare i conti con gli ultimi due ostacoli: i sindacati, che sugli esuberi non concederanno facilmente e a cuor leggero il semaforo verde, e il Parlamento, dove il dissenso interno ai 5S potrebbe rendere necessario, per varare il decreto sullo scudo, il sostegno dell’opposizione.