La prima lettera a Mario Draghi premier la scrivono gli operai. Sono i 400 lavoratori della ex Embraco di Riva di Chieri (Torino) che dopo anni di prese in giro dalla politica e da tanti falsi imprenditori ora sono sotto procedura di licenziamento collettivo.
Dal presidio davanti ai cancelli della fabbrica la lettera è partita e spiega benissimo la situazione: «Dopo la svolta degli scorsi mesi, rappresentata dalla nascita del polo nazionale dei compressori per frigoriferi, che nei piani del governo avrebbe dovuto salvare la ex Embraco di Riva di Chieri (Torino) e la Acc di Mel (Belluno), ora tutto è di nuovo appeso a un filo e sta rapidamente scivolando verso il baratro. E il motivo di tale incertezza, che coinvolge in tutto oltre 700 lavoratori e rispettive famiglie, è dovuto al rifiuto delle banche, che avevano inizialmente assecondato il progetto, di concedere i finanziamenti necessari a far ripartire la produzione».
I lavoratori chiedono allora a Draghi di intervenire ricordandogli un suo intervento del 2009 in cui parlava della necessità di finanziare le imprese: «Ci appelliamo dunque a lei affinché possa intervenire con prontezza su un tema per cui si è sempre speso e su cui potrà indubbiamente far valere le sue enormi competenze fin da subito».
Vedremo se il neo presidente del consiglio risponderà. «Non possiamo permetterci altri 400 licenziamenti», attacca il segretario della Fiom di Torino Edi Lazzi, appoggiando la lettera e chiedendo una risposta da Draghi.
Al governo si rivolge anche il segretario generale della Cub Marcelo Amendola. Prima criticando la consultazione da parte di Draghi dei soli sindacati confederali più – incredibilmente – l’Ugl del «contratto capestro» contro i rider – «alla Cub, come ad altri sindacati conflittuali, ha negato il sacrosanto diritto di rappresentare i reali interessi delle moltissime persone che subiscono l’impatto devastante della crisi: è necessario dare sicurezza alla gente bloccando i licenziamenti e gli sfratti e sostenendo i redditi, la riforma degli ammortizzatori sociali, l’introduzione di un reddito minimo universale e una vera democrazia sindacale a garanzia del diritto di sciopero e di organizzazione di lavoratori e lavoratrici» – per poi annunciare una mobilitazione nazionale della Confederazione unitaria di base: «Fermiamo l’assalto padronale alla diligenza del Recovery fund, giovedì 25 febbraio presidieremo le prefetture in tutte le città e a Roma saremo davanti a Montecitorio».
Verso il governo si fa sentire anche la Cgil sul versante pensioni. La patata bollente della fine del triennio Quota 100 è nelle mani del neo ministro dell’Economia Daniele Franco e del neo ministro del Lavoro Andrea Orlando che dovranno intervenire per evitare lo scalone che deriverà dal ritorno alla Fornero a fine anno. L’Osservatorio sulla previdenza della Fondazione Di Vittorio denuncia «come Quota 100 nel triennio 2019-2021 coinvolgerà solo 348 mila persone – di cui solo il 28,8% di donne – anziché i programmati 973 mila risparmiando quasi sette miliardi di euro rispetto a quelli inizialmente previsti», spiega Ezio Cigna, responsabile Previdenza pubblica della Cgil nazionale. La Cgil è per la flessibilità in uscita e per la pensione di garanzia per giovani e precari. Vedremo quale sarà la posizione del nuovo governo.