Ieri a Kiev, in mattinata, un ex deputato del partito comunista della federazione russo, è stato ucciso all’uscita di un albergo del centro della capitale ucraina. L’uomo, Denis Voronenkov, è morto.

Uno dei suoi assassini sarebbe stato ferito dalla guardia del corpo del deputato ed è poi morto all’ospedale. Voronenkov era rifugiato in Ucraina nel 2016 ed era considerato un testimone fondamentale nel processo contro l’ex presidente ucraino, il filo russo Janukovich, accusato di aver facilitato quella che per Kiev è stata un’«aggressione della Russia». Voronenkov è un personaggio ambiguo, ormai etichettato come un esponente della dissidenza anti Putin, contro il quale si era scagliato anche di recente nel corso di interviste. L’ex deputato – la cui moglie era anch’essa deputata seppure in un partito avversario – aveva ottenuto la cittadinanza ucraina ed era «fuggito» dalla Russia perché, secondo lui, i servizi di sicurezza russi gli stavano dando la caccia, a seguito di problemi giudiziari che lo riguardavano. Nel 2011 era anche finito in carcere accusato di aver ricevuto tangenti.

L’ASSASSINIO è avvenuto proprio alcuni giorni dopo esplosioni multiple avvenute in un deposito di armi nella base di Balakliya, nei pressi di Kharkiv, in Ucraina, che avevano reso necessaria l’evacuazione di un’area molto ampia, con lo spostamento di almeno 20mila persone. Il deposito era utilizzato per stoccare migliaia di tonnellate di munizioni tra cui missili e artiglieria. La superficie totale della base si estende su più di 350 ettari, secondo quanto comunicato dall’esercito ucraino.

Secondo Kiev gli eventi sarebbero collegati e la responsabilità di entrambi gli accadimenti sarebbe dei russi. Per quanto riguarda l’esplosione del deposito di armi a esprimersi è stato il vice segretario del Consiglio di Sicurezza nazionale Alexander Litvinenko: «Le riforme che si svolgono nel nostro Paese avvengono in tempo di guerra, il sabotaggio di oggi lo dimostra. La guerra nell’est non è finita, ha continuato, così come le attività di sabotaggio del nemico, lo dobbiamo capire». Ovviamente si riferiva a Mosca. Sul caso dell’ex deputato russo ucciso a Kiev invece ha parlato direttamente la presidenza ucraina. «L’ex deputato russo Denis Voronenkov era uno dei principali testimoni dell’aggressione russa contro l’Ucraina e, in particolare, del ruolo di Yanukovich nel dispiegamento di truppe russe in Ucraina», ha affermato il presidente Petro Poroshenko, accusando il Cremlino di essere responsabile dell’assassinio a Kiev dell’ex deputato in un atto di «terrorismo di Stato».

DA MOSCA la risposta è stata infastidita. Intanto il comitato investigativo della Federazione russa ha dichiarato di non aver ricevuto informazioni ufficiali sulla morte dell’ex deputato della Duma, secondo quanto riferito dalla responsabile per le relazioni con i media, Svetlana Petrenko.

«Finora non è stata ricevuta alcuna informazione ufficiale sulla morte di Denis Voronenkov», ha dichiarato Petrenko, secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa russa Ria Novosti. E a stretto giro è arrivata anche la risposta ufficiale di Mosca, attraverso le parole del Cremlino: «Crediamo che tutte le falsità che possono già essere ascoltate sul tanto declamato coinvolgimento russo siano assurde» ha dichiarato il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, citato dalle agenzia di stampa russe, facendo riferimento al fatto che Kiev ha accusato la Russia di essere coinvolta nell’assassinio dell’ex deputato russo Denis Voronenkov, ucciso nella capitale Ucraina.

IN PRECEDENZA PESKOV aveva specificato: «Che cosa dobbiamo commentare? Non è affar nostro». E Mosca ha fatto sapere di aver chiesto a Kiev un’indagine imparziale e seria sulla morte dell’ex deputato.

VORONENKOV è un personaggio particolare: nelle cronache russe degli anni scorsi era stato spesso associato a sospetti giri di tangenti. L’uomo, 45 anni, di recente, nel corso di un’intervista alla televisione ucraina si era scagliato contro Putin e la Russia e l’annessione della Crimea.

Eppure quel gesto di Mosca il 18 marzo 2014 venne sostenuta dall’intera Duma con un solo voto contrario: non quello di Voronenkov, ma quello di Ilya Ponomarev, poi fuggito in America. Il deputato ucciso ieri aveva poi definito quel gesto una forzatura del suo partito: «Non ho votato, ma il Partito Comunista della Federazione Russa ha deciso di votare per l’adesione (annessione) della Crimea. Quindi, hanno votato per me, con la mia scheda, anche se non li ho mai autorizzati. Poi ho visto quali conseguenze gravi questa votazione aveva portato. Oggi penso che sia stato un terribile errore», aveva poi dichiarato l’ex deputato, che in seguito avrebbe anche paragonato la Russia di Putin alla Germania nazista.