Il costo della fornitura energetica sembrava essere solo l’ultimo ostacolo alla ripresa dell’attività, l’ultimo dettaglio da definire. Invece di fatto mette a rischio l’intero programma di riapertura dell’ex Alcoa, nel polo industriale di Portovesme. E ora, dopo mesi di attese e di incontri istituzionali rimandati, il tempo sembra essere scaduto.
La Sider Alloys, il gruppo svizzero che dal 2018 è subentrato all’Alcoa, ha avviato il programma di ferie forzate per i 140 assunti per i lavori di pre-revamping e annuncia l’apertura della cassa integrazione dal 31 ottobre. La società svizzera aspetta da mesi la firma del contratto per la fornitura di energia: da quanto dichiarato, l’accordo bilaterale tra Sider Alloys e Enel sarebbe pronto, quelle che mancano sono le garanzie del governo. Decisivo quindi l’incontro di mercoledì 30 ottobre al Mise tra i vertici dell’azienda e i rappresentanti del governo.
Il piano iniziale prevedeva l’inserimento di circa 370 lavoratori diretti e 70 a contratto, più l’assunzione di altri 50 lavoratori nel caso fosse stato riavviato un ulteriore impianto, la cosiddetta «fabbrica degli anodi». Nelle riassunzioni la precedenza sarebbe spettata agli ex lavoratori Alcoa – prima della crisi i lavoratori erano più di 500 e altri 500 nell’indotto – , poi agli ex appalti e infine agli ex interinali, secondo un sistema definito dai sindacati «a cerchi concentrici». A nulla sembrano quindi serviti i 135 milioni di euro di investimenti fatti (dei quali 8 a fondo perduto, 84 a tasso agevolato, 20 stanziati dall’Alcoa e il restante dalla Sider Alloys) e i lavori pre-revamping terminati. La società svizzera senza garanzie non è disposta ad investire oltre: attualmente si parla di una spesa media di un milione di euro al mese che la Sider Alloys, a queste condizioni, non è più in grado di fronteggiare. Ora l’unica certezza è che dal 31 dicembre i lavoratori non beneficeranno più degli ammortizzatori sociali.
Lo snodo della fornitura si intreccia per forza di cose con la questione energetica dell’isola. La decarbonizzazione fissata per il 2025 – data che il governo Conte non sembra intenzionato a posticipare – determina la chiusura delle due centrali Enel che alimentano la Sardegna. Inoltre, l’isola non ha un accesso diretto alla rete nazionale del gas, con il conseguente aumento del prezzo di quest’ultimo. Proprio di questo si è dibattuto l’11 ottobre al terzo incontro dell’agenda industria della regione, al quale ha partecipato anche la sottosegretaria allo sviluppo economico Alessandra Todde, che si è mostrata poco convinta dell’efficacia della dorsale del metano, soluzione individuata dalla giunta Solinas. «Un sistema energetico è fatto di tanti pezzi – aveva dichiarato al termine dell’incontro – e la dorsale è solo un pezzo di questo sistema che però è importante vedere nel suo complesso». Un sistema certamente complesso che blocca l’intera isola.