«Purtroppo le strade sono queste, non si poteva fare molto altro». Quasi si scherniva ieri Nibali al traguardo, e l’unico mistero che ci resta di svelare è quanto fosse sincero quel purtroppo, o se invece fosse un altro modo per raccontare la storiella della volpe e l’uva. Si dice in gruppo che qualcosa in più ci si potrà capire domenica al Blockhaus, e però i precedenti sono ambigui. Quest’anno lo si affronta dal versante più arcigno. Dall’altro lato ci trovarono la gloria Moser e poi Argentin, campioni assoluti, ma non degli stambecchi. E giusto quarant’anni fa lassù in cima agli Abruzzi faceva il suo debutto in società un belga ventunenne, con le mascelle quadrate che pareva Fernandel; uno che poi avrebbe vinto dappertutto, senza badare troppo al tipo di percorso.

Ma è inutile evocare Merckx, almeno oggi. Il ciclismo induce al conservatorismo. Ci sono stati nel passato cronisti illustri a cui il ricordo di Girardengo e poi di Binda ha impedito di apprezzare fino in fondo lo spettacolo di Coppi e Bartali che se ne davano di santa ragione. E quindi le strade sono queste, e quelle di oggi portano i villeggianti a spasso per la Magna Grecia, seguendo l’arco della costa ionica. Prima di arrivare a Taranto, quasi a voler evitare il contatto con la città ostaggio di oligarchie velenose, ci si tuffa nell’interno della Puglia, per guadagnarsi il traguardo volante dell’oasi Wwf di Massafra; e poi, attraverso la valle d’Itria, puntare verso Alberobello all’inseguimento di Kozontchuk e Ponzi, i fuggitivi di giornata. «È stata dura andare in fuga per il vento e perché eravamo solo in due, dice l’italiano, ma ad ogni contrada la gente gridava il mio nome. Non so perché, ma è stato bello». Perché i campioni, si diceva prima, non sono sempre e solo quelli di cinquant’anni prima, ma quelli che passano davanti al marciapiede in quell’istante.

Tra i trulli che fanno da contorno al rettilineo della fine si consuma il delitto del gruppo, che si macchia di lesa maestà per aver costretto re Fernando Gaviria, il Magnanimo, in un pertugio, da cui esce come un proiettile quando è troppo tardi. L’atto finale del magnicidio lo compie Ewan il Breve. Fino a oggi in ombra, il piccolo tasmaniano si rannicchia su se stesso e conserva qualche centimetro di vantaggio al fotofinish. È il primo testa a testa diretto tra i duellanti designati alla vigilia, e ci si augura che la saga possa continuare finché non verranno le grandi montagne ad inghiottirli tutti e due.