Eugenij Evtusenko, poeta e romanziere russo, se ne è andato qualche giorno fa stroncato da un infarto. La ginnastica e la corsa, le aveva praticate nelle scuole dell’Unione Sovietica di Stalin. Erano anni in cui il Partito si era preposto di forgiare l’uomo socialista che, secondo le indicazioni diramate dall’Istituto di cultura fisica di Mosca, doveva essere superiore anche nello sport ai figli mollicci dell’occidente borghese. Amava il calcio Evgenij Evtusenko, fin dalla Rivoluzione d’Ottobre passione di operai e intellettuali dell’Unione Sovietica, ma assai inviso ai dirigenti del Pcus. Sfruttando la sua altezza di un metro e novanta, nel 1949 all’età di 17 anni, il giovane Evgenij tentò il provino presso lo Spartak Mosca, ma gli andò male, sembra a causa di un bicchiere di vodka bevuto per allentare la tensione alimentata in vista della prova calcistica, e in qualche modo anche per dimostrare agli amici che ormai era abbastanza grande da concedersi una trasgressione. Sicuramente la vodka non lo aiutò affatto a coordinare la sua arte pedatoria, perciò fu caldamente invitato dall’allenatore ad occuparsi di altro. Evtusenko abbandonata qualsiasi velleità calcistica si dedicò alla letteratura, sua seconda passione, ma non si allontanò affatto dal campo dello sport, soprattutto quello narrato, tanto che in quello stesso anno Sovetskij Sport (Lo sport sovietico) gli dedicò un’intera pagina sulle due passioni che il poeta nutriva in maniera viscerale: il calcio e la letteratura e da quel momento cominciò a collaborare con l’organo sportivo sovietico.

RAGNO NERO
A dimostrazione del fatto che quella passione per l’arte pedatoria non si affievolì mai, anche quando era diventato un poeta conosciuto in tutto il mondo, Evgenij Evtusenko era allo stadio di Mosca anche in una giornata uggiosa dell’agosto del 1989, quando l’establishment sportivo sovietico, ma anche quello politico, decisero di anticipare i festeggiamenti per il compleanno di Lev Jasin, detto il Ragno nero per il colore della maglia che indossava, ritenuto tra i migliori portieri della storia del calcio, tanto che resta ancor oggi l’unico numero uno al mondo ad aver vinto il Pallone d’Oro, la massima onorificenza per un calciatore. Il sessantesimo compleanno di Jasin, che cadeva il 22 ottobre, fu anticipato ad agosto per il precipitare delle precarie condizioni di salute del portiere della nazionale sovietica, affetto da un male incurabile, che se lo portò via sette mesi dopo, il 20 marzo del 1990.

AL MICROFONO
Il giorno dei festeggiamenti per Lev Jasin, nonostante il cielo basso e plumbeo di Mosca, a migliaia accorsero allo stadio dove giocava la Dinamo Mosca, la squadra che faceva capo al ministero degli Interni, in quell’occasione il poeta Evtusenko, con due fogli in mano bagnati dalla pioggia battente, lesse dalla tribuna d’onore dello stadio la poesia Il portiere abbandona la porta, che aveva composto in onore di Lev Jasin. I versi di Evtusenko celebravano il grande coraggio di Jasin, quando con spirito ribelle usciva dallo stretto perimetro della porta, il Ragno nero osava abbandonare anche l’area di rigore per andare incontro agli avversari e impossessarsi del pallone, per gli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, un gesto ritenuto spericolato, soprattutto dalla rigida scuola calcistica sovietica: «È una rivoluzione nel calcio/ Il portiere esce dalla porta/ e in questo nuovo e strano ruolo/ avanza come un attaccante».
Il campo di gioco e il campo politico per Evgenij Evtusenko si mescolano fin troppo facilmente, anche se la lettura di Il portiere abbandona la porta avviene in piena perestrojka con Gorbaciov al potere, i versi scritti su quei due fogli bagnati dalla pioggia non risparmiano il potere calcistico e politico: «Soffiava/ gelosa del coraggio/ la boria falsamente tifosa/ portiere/ non mettere il naso fuori dall’area di rigore!/ Poeta non metterti in politica!».

ONORIFICENZE

L’anticipo di quel compleanno, celebrato in pubblico e con i più grandi onori riservati a Lev Jasin, che nel vocabolario sovietico veniva indicato come «eroe del popolo» rappresentò anche una delle ultime manifestazioni di un periodo storico e di una nomenklatura sportiva e politica al tramonto.
Anche gli ultimi versi che Evgenij Evtusenko lesse al microfono di quella giornata piovosa sapevano di addio a Jasin, un portiere che prima della memorabile giornata di festa aveva già ricevuto grandi onorificenze dagli organismi sportivi internazionali, come l’Ordine d’oro al Merito da parte della Fifa, massimo organo del calcio mondiale, ma anche l’Ordine olimpico da parte del Cio. Nel 1967 in patria Lev Jasin era stato già insignito dell’Ordine di Lenin, massima onorificenza in tempo di pace. La poesia di Evtusenko Il portiere abbandona la porta si conclude con questi versi: «Come un amico/ un amico bistrattato/ si stringerà alla guancia/ non rasata/ sussurrerà che lei non ha vissuto invano. Anche i palloni hanno le lacrime/ sui pali fioriscono le rose/ ma solo per un portiere come lei!»