C’è nebbia, al mattino presto all’aeroporto militare di Ciampino. Per questo il presidente boliviano Evo Morales atterra in ritardo. E dovrà stringere i tempi dell’agenda, fitta di incontri. Sulla pista, lo attendono anche i vertici di Finmeccanica, per illustrargli i pregi di elicotteri e droni. Morales si guarda intorno. Prima di entrare in una carlinga abbraccia un volto amico. Il tempo di qualche foto, e poi via verso Roma. Al Senato, ha un incontro con il presidente Pietro Grasso. Alla camera, è ricevuto dalla presidente Laura Boldrini.

Nel pomeriggio lo aspettano alla Sapienza, per conferirgli un dottorato honoris causa in Scienze della comunicazione: «Morales è un grande comunicatore, che più di tutti ha posto al centro la contraddizione capitale-natura – dice al manifesto il professor Luciano Vasapollo – . Una visione nuova che pone il vivir bien, la filosofia andina, come una possibilità di vita diversa anche nelle società come le nostre, ormai completamente soffocate dalla logica del profitto».

A fine giornata, Morales incontra il sindacato Usb e il deputato Alessandro Di Battista, del Movimento 5 Stelle. E poi di corsa all’aeroporto, per le ultime due tappe del viaggio in Europa: a Parigi e poi a Dublino.

A mezzogiorno, posticipa il pranzo per parlare con il manifesto: «Giornalisti affamatori – , scherza – mi avrete sulla coscienza». Ma poi trova ancora il tempo di ricambiare gli omaggi di politici e movimenti, e di firmare diverse copie di El libro del mar. Un corposo volume che documenta e spiega lo storico contenzioso con il Cile per uno sbocco al mare, che La Paz ha perso in un conflitto bellico con Santiago alla fine del secolo XIX.

«Qui si documenta – dice il presidente – la chiusura ingiusta che è stata imposta alla Bolivia e i numerosi tentativi di trovare una soluzione negoziata».

Per ora, nonostante una prima apertura della presidente cilena, Michelle Bachelet durante il suo mandato precedente, le parti non sono andate molto avanti. La Corte dell’Aja, ha recentemente rianimato le speranze della Bolivia, ritenendosi competente ad accogliere il reclamo di Morales. E adesso – gli chiediamo – a che punto è la questione?

«Noi cerchiamo una soluzione negoziata – risponde – In molti, nel corso di questi anni ci hanno capito, anche negli Stati uniti. Ultimamente, il papa Francesco ha espresso la sua opinione al riguardo, e la cancelliera tedesca Angela Merkel ritiene che le conversazioni con il Cile vadano riprese. Noi crediamo nella forza della ragione, non in quella che stabilisce vinti e vincitori. Non è più tempo di dominio e asimmetria e di interventi armati, ma di interazione e complementarietà».

Prima di venire a Roma, Morales è stato a Berlino, dove ha incontrato la cancelliera Angela Merkel: che si è detta «impressionata» dagli ottimi risultati economici della Bolivia e dai progressi sociali. Merkel ha dato per certa l’apertura di una nuova tappa nella cooperazione bilaterale. Ma su quali basi? Anche per Morales è arrivato il tempo della Troika?

Il presidente sorride: «Il tempo delle relazioni bilaterali asimmetriche, per noi è finito. Angela Merkel mi ha chiesto di sviluppare una relazione commerciale basata sul rispetto del nostro modello economico alternativo, della nostra differenza che mette al centro la riduzione della povertà e lo sviluppo sociale. Non chiediamo di essere risarciti per 500 anni di rapina, ma relazioni basate sul rispetto. Abbiamo bisogno di tecnologia per sviluppare il settore energetico, quello delle rinnovabili e delle miniere. Sappiamo di dover colmare delle carenze in diversi campi, da quello della sicurezza a quello della giustizia».

Per questo, ad Amburgo, nel giorno dell’America latina, Morales ha partecipato come invitato d’onore a un importante forum degli investitori a cui si sono recati prima di lui anche Bachelet e l’uruguayano Pepe Mujica. Ma come mai, mentre le altre economie dell’America latina battono la fiacca, quella della Bolivia continua ad avere il vento in poppa?

«In dieci anni di governo – risponde Morales – abbiamo più esperienza. Abbiamo imparato dalle crisi, soprattutto da quella economico-finanziaria degli Usa, del 2008-2009. Abbiamo imparato a non essere dipendenti dal prezzo dei minerali. Abbiamo imparato a blindarci. E oggi siamo il primo paese in crescita in America latina».

Dieci anni fa – ricordiamo – l’arco dei paesi dell’Alba, ha sconfitto i progetti neoliberisti dell’Alca, l’Accordo di libero commercio voluto da Bush per le Americhe. Ma oggi c’è l’Alleanza del Pacifico e il ritorno in forze delle destre in America latina. E nel Mercosur, Venezuela e Bolivia sono stati gli unici paesi a rifiutare l’accordo di libero commercio con l’Europa nell’ambito del Ttip. Morales, però, confida «nella coscienza dei popoli. Il capitalismo e l’imperialismo – dice – non possono ingannarli a lungo. Finché esisteranno ingiustizie e aggressioni, continuerà la lotta dei popoli».

Sulle proposte provenienti dai movimenti sociali, che accompagnano i governi socialisti in ogni vertice importante, Morales conta anche per il prossimo summit di Parigi sul cambiamento climatico. Quali proposte porteranno la Bolivia e i paesi dell’Alba?

Morales risponde: «Una commissione interministeriale sta lavorando per riassumere le conclusioni della Cumbre de los pueblos sul cambio climatico. Per far rispettare la giustizia ambientale, per noi è centrale far riconoscere all’Onu che la Madre terra ha dei diritti, che l’essere umano non può vivere senza il pianeta che sta distruggendo, mentre la Madre terra può vivere meglio senza l’essere umano. In questo abbiamo una responsabilità enorme. Speriamo che tutti – a cominciare dai paesi grandi inquinatori, che fanno pagare il prezzo più alto al sud – colgano il senso profondo della nostra proposta: che non è solo quella di Evo o della Bolivia, ma di tutto il genere umano. In questo, mi ritrovo con il papa Francesco e la sua Enciclica sull’ambiente. Così, Vangelo e socialismo possono camminare assieme».

Al Vertice dei popoli sul cambiamento climatico e per la difesa della vita, Morales ha chiesto agli Usa di concedere l’indulto al prigioniero nativo Leonard Peltier, condannato a morte con l’accusa di aver ucciso degli agenti Fbi.

«Leonard Peltier – dice ora il presidente aymara – è un difensore dei popoli indigeni e della Madre terra, è un nostro fratello. A lui, a tutti gli indigeni come i mapuche in Cile, a tutti gli oppressi, dev’essere riconosciuta la dignità, l’identità e la sovranità. All’interno della Celac, la Comunità degli stati latinoamericani e caraibici che comprende tutti i paesi del continente tranne gli Stati uniti e il Canada, abbiamo chiesto il riconoscimento della cittadinanza universale. Quelli che voi chiamate migranti sono persone costrette a fuggire dalla miseria, dalla guerra o rifugiati climatici. Con le parole e con i muri, si nascondono le responsabilità. C’è una crisi di civiltà, una crisi morale, di valori, che rende più evidente che un altro mondo è possibile. Un mondo senza povertà e ingiustizia. Noi, nella nuova Bolivia, stiamo provando a costruirlo. Purtroppo, tra i problemi che abbiamo, uno di quelli più rognosi è l’esistenza di una destra che non riconosce le conquiste sociali come una misura di civiltà».

Il parlamento ha appena approvato il referendum che deciderà su una possibile rielezione di Evo anche oltre il termine dei suoi mandati. E l’opposizione ha annunciato battaglia a livello internazionale.