In questa convulsa estate politica si sono registrati due eventi speculari. Da una parte, la malsana maggioranza delle larghe intese si è asserragliata dentro l’obiettivo di manomettere la Costituzione per dare vita ad una repubblica presidenzialista, che non tollera alcuna forma di controllo democratico. Un disegno neo-autoritario per riscrivere assetti istituzionali verticali, aggiornando antiche ispirazioni piduiste, per assecondare meglio le oligarchie che governano economia e politica.

Un piano lucido e determinato che punta spedito alla modifica dell’art.138, incurante della precarietà di quella stessa maggioranza dilaniata dalle vicende giudiziarie del pregiudicato Berlusconi, alleato di governo di un Pd incapace di progettare un mondo diverso dall’esistente.
Dall’altra parte cresce un’opposizione, spontanea e popolare, che resiste per difendere l’essenza democratica della Costituzione. Un popolo che si è palesato nelle quasi 500.000 adesioni all’appello che insieme a un gruppo di cittadini e giuristi ho lanciato dalle pagine del Fatto, riscuotendo un successo imprevedibile. Un popolo pronto a scendere nelle piazze per fare sentire la propria voce. E che ha risposto riempiendo fino all’inverosimile i locali dove domenica scorsa si è tenuta l’assemblea aperta indetta da Rodotà e Landini.
Si è aperto un nuovo spazio politico, che deve essere ampio, senza steccati e preclusioni. Occorre essere forti e in tanti, senza settarismi, né personalismi o verticismi. Anche per non ripetere gli errori del passato che si sono spesso fatti a sinistra e si sono ripetuti nell’esperienza di Rivoluzione Civile dove all’originario progetto virtuoso di promuovere la partecipazione dei cittadini fuori dai partiti, hanno fatto seguito pratiche meno virtuose, specie nella formazione delle liste. La fretta è cattiva consigliera, ha ribadito Rodotà proprio sulle pagine del manifesto che al dibattito sull’unità della sinistra sta dando ampio e meritorio spazio. E certamente, alle ultime elezioni, l’improvviso scioglimento delle camere determinò precipitazione e qualche approssimazione. Una fretta di cui siamo stati vittime, oltre che artefici. Una fretta che impose la scelta di concentrare il simbolo elettorale sul nome del leader, cosa che mi piacque poco, ma parve inevitabile per assicurare la riconoscibilità di una lista così nuova. Tanto che oggi, che la fretta non ci assilla, assai ridimensionata è la presenza del nome del fondatore sul simbolo del nuovo movimento civico, Azione Civile, e l’intenzione è di eliminare quanto prima ogni riferimento personale.
Ma bisogna osare. Se la fretta è cattiva consigliera, lo è anche l’attendismo. Specie in una situazione di emergenza democratica e costituzionale come questa, dove si è aggravato il quadro già presente ai tempi di Rivoluzione Civile, operazione – sia chiaro – ben diversa dall’esperienza della Sinistra Arcobaleno. Lì c’erano solo i partiti, qui c’erano operai, testimoni delle battaglie antimafia, per i diritti civili e sociali, per la pace e la libertà di informazione. Ma molti altri italiani preferirono attendere, e anche di quell’attendismo restammo vittime. La prospettiva di Rivoluzione Civile va rovesciata, ora che si può, promuovendo la partecipazione dal basso e sui territori, invece di chiudersi nelle stanze di partito. Così sta facendo Azione Civile, secondo lo stile del nuovo spazio politico che si è aperto nell’assemblea di domenica. Che si colmino le distanze e si guardi avanti. La sfida è durissima: si è formato un blocco neo-liberista e conservatore, di cui la classe dirigente del Pd fa parte quasi per intero, che va contrastato con un fronte non frammentato.
Che non si commetta il solito errore della sinistra di dividersi. Si formino luoghi di coordinamento ampi e aperti a livello territoriale e nazionale. Si stabiliscano modalità condivise. Nessuno rivendichi primogeniture e prevalgano umiltà e spirito unitario. Stiamo riscoprendo la possibilità di una grande mobilitazione che cerca una casa comune oggi inesistente. Uno spazio politico edificabile dove la nuova casa va costruita insieme. E i 500.000 dell’appello devono potersi unire con il popolo convocato da Rodotà e Landini. Questa volta, forse dopo vent’anni, potrà essere non un fronte “anti” a riunire. A mettere insieme tutto il fronte democratico, il popolo del cambiamento, che è lo stesso dei referendum per l’acqua pubblica e i beni comuni, è la nostra Carta dei diritti, una Costituzione che ci conduce sulla sponda opposta rispetto a Berlusconi ed ai suoi alleati, vecchi e nuovi, naturali e di comodo. È un’occasione storica che non va sciupata. Lo chiede quel popolo che alle ultime elezioni si è diviso in vari rivoli e che, a causa di queste divisioni, si sta rifugiando deluso nell’astensionismo. Un popolo che ha invece voglia di stare insieme e che si conterà per la prima volta il prossimo 12 ottobre.
Per un’Italia davvero solidale, eguale, giusta, che restituisca forza ai diritti. A cominciare dai diritti dei lavoratori e dal diritto al lavoro di tutti. Il diritto alla felicità sociale.