Yaughton è un villaggio adagiato tra i campi, i prati e i boschi della campagna inglese. Un luogo bucolico e quieto. Forse troppo. Perché di fatto non c’è più nessuno a percorrere le sue strade, a bere birra scura nei pub, a giocare nei cortili fioriti, a mietere il grano ormai maturo, a nutrire gli animali nelle stalle. D’altronde non ci sono più neanche quelli ma sul cemento, unica traccia della vita che fu, giacciono stecchite varie specie di volatili. Siamo gli ultimi e i soli in tanta splendente solitudine alla luce di un tramonto che si eterna e tocca a noi, dopo una brevissima introduzione che non spiega nulla e non rivela nemmeno di chi sia lo sguardo attraverso il quale vediamo in prima persona, scoprire cosa sia successo in questo luogo disertato da ogni vivente. Si tratta di Everyone’s Gone To The Rapture, opera ermetica dalla malinconia abissale costata più di tre anni di lavoro al piccolo team indipendente Chinese Room e pubblicata in esclusiva su Playstation 4, dove si può acquistare e scaricare sul market online. Nel «gioco» in questione non si fa altro che camminare con una spossante lentezza che, abituati all’ipercinetica mobilità dei videogame contemporanei, può scoraggiare il giocatore frettoloso fino a causare rifiuto e fastidio ma che risulta realistica in tutta la sua flemmatica, noiosa e grandiosa indolenza. Il gesto di correre risulterebbe innaturale, fuori luogo in tanta solinga peregrinazione. C’è chi ha scoperto che tenendo premuto il tasto dorsale R2 del controller della Playstation dopo otto secondi la velocità accelera sensibilmente, tuttavia Chinese Room non lo spiega al giocatore così che è facile terminare l’esperienza elettronica senza scoprirlo. Inoltre l’accelerazione in questione è davvero minima, ininfluente.
Chinese Room è riuscita, in maniera ancora più radicale e espansa che nel loro notevole Dear Esther, a inventare una forma di racconto interattivo basato sulla libera esplorazione, l’ascolto e l’osservazione durante la quale è assente del tutto ogni forma di meccanismo competitivo e di Game Over. Camminando per le strade vuote, penetrando nelle abitazioni desolate, perlustrando selve gentili dalla bellezza straziante riveliamo le tracce di una storia fantascientifica che ha il lirismo arcadico e umanista del migliore Clifford D. Simak, il brivido apocalittico de Il Colore venuto dallo Spazio di Howard P. Lovecraft e la poesia cosmica dell’ultimo Philip K.Dick, scrittore omaggiato e citato poiché l’osservatorio stellare e i laboratori da cui tutto comincia e finisce si chiamano Valis, quella Vast Active Living Inteligence System discussa in una lunghissima esegesi e in tre romanzi con la quale lo scrittore credette di entrare in contatto.
Si agitano nel vuoto, danzando come lucciole sulla lapide del mondo intero, vaghe tracce di luce, segni radiali che contengono i ricordi di alcuni abitanti di Yaughton. Trovandole ascolteremo le loro voci estinte ricostruire momenti di esistenza colti al sorgere, durante e al culmine della crisi. La fantascienza si mescola al verismo di una cronaca cittadina dove emergono segmenti di vissuta vita quotidiana: antichi rancori, razzismo, amori perduti e ritrovati, la durezza della vita agricola, tenerezza, disprezzo, speranze e frustrazione… L’apocalisse di Everyone’s Gone To The Rapture è globale quanto intima.
Di raro e pittorico fascino è lo stile con cui sono dipinti tutti gli scenari, un quadro gigantesco e in tre dimensioni dove il foto-realismo non esclude una poetica che fa leva sull’intreccio tra luci, atmosfere, forme e colori riconoscibili con qualcosa di assolutamente alieno e incomprensibile. Talvolta il silenzio viene infranto dall’intrusione emozionale di una colonna sonora orchestrale che accompagna i climax dell’intreccio e amplifica il senso di immersione in un luogo della mente più che dello spazio, qualsiasi sia la mente. Opera sperimentale e tramite di una narrazione novella e potente, Everyone’s Gone to The Rapture è un meraviglioso e dolente viaggio virtuale alla scoperta dell’ultima verità in un ambito lirico e fantascientifico, un lavoro concepito e realizzato con amore, perizia e passione da pochissime persone e che dovrebbe essere «vissuto» soprattutto dai più scettici di questa nuova (e ancora vituperata dai molti che credono di conoscerla ma di fatto la ignorano grossolanamente) forma d’arte che viene chiamata in una maniera ormai obsoleta: Videogioco.