All’alba del ventesimo secolo, Arthur Evans – figlio dell’archeologo John Evans – sospinse l’isola di Creta oltre il mito, così come il filo di Arianna condusse Teseo fuori dal labirinto in cui impazzava il Minotauro. Le ricerche intraprese sulla collina di Kefala all’indomani dell’indipendenza dal governo ottomano, portarono infatti all’immediato e fortunoso rinvenimento di alcune tavolette in Lineare A mentre in sole sei stagioni di scavo riaffiorarono le rovine del palazzo di Cnosso, edificio simbolo di una civiltà anteriore ai Micenei, alla quale Evans impose l’etichetta semantica di «minoica», in riferimento al leggendario re Minosse. Ma se la fama dell’archeologo inglese insignito del titolo di Sir è legata soprattutto a tale straordinaria acquisizione storica (contestabilissimi, invece, i restauri pacchiani ispirati all’architettura revivalista), un volume a cura di Paola Pelagatti e Francesco Muscolino restituisce oggi alla comunità scientifica e agli appassionati un inedito taccuino compilato da Evans all’età di trentotto anni, quando era «custode» dell’Ashmolean Museum di Oxford.
Arthur Evans, Sicily 1889 (Gangemi Editore, pp. 143, e 25,00), non appartiene a quei cahiers de voyage in voga tra i rampolli del Grand Tour ma è il resoconto di un itinerario percorso a piedi, e occasionalmente in carrozza, da Evans nella punta sud-orientale della Trinacria assieme al suocero Edward Augustus Freeman, specialista di storia moderna allora impegnato nella stesura della monumentale History of Sicily. Talvolta i due esploratori erano accompagnati nelle loro escursioni da Margaret, la figlia maggiore di Freeman che Evans aveva sposato nel 1878 e che scomparirà improvvisamente nel 1893. Nel taccuino compaiono inoltre diversi notabili locali, come il Barone Granieri, i fratelli Cannata e il Barone Spadaro. Il manoscritto, conservato nella biblioteca dell’Ashmolean Museum, è stato rintracciato nel 1970 da Barbara Gibson che in veste di archeologa dilettante ha preso parte fin dal 1961 agli scavi diretti da Pelagatti a Naxos di Sicilia. Composto da settantacinque pagine (cm 11,5 x 18,5) redatte a penna su entrambi i lati con una grafia elegante e un’attenzione all’impaginato che rivela la consuetudine di Evans a scrivere sui giornali britannici, il diario contiene anche trentasei schizzi – topografici, faunistici o dedicati a singoli ruderi e oggetti rari – realizzati a mano dall’autore, alcuni in grande scala, altri piccolissimi. Nell’edizione di Gangemi, oltre alla copia anastatica (in formato ridotto) dell’originale, si trova la traduzione in italiano eseguita da Lucilla Jervis e revisionata da Francesco Muscolino, il quale ha vagliato anche la trascrizione di Barbara Gibson.
Il percorso descritto nel taccuino ha inizio dal corso del fiume Kakyparis (l’attuale Cassibile), sulle orme della ritirata ateniese seguita allo scontro con Siracusa nel V secolo a.C. e prosegue lungo l’antica via Elorina, fino all’altura «ricoperta da una fitta vegetazione di ginepri, lentischi e altre piante fra cui due orchidee, una venata di rosa violaceo, l’altra gialla e arancione» in cui sorgeva il sito di Eloro. Qui svettava anche la Colonna Pizzuta, che Evans ritenne un monumento sepolcrale. Dopo aver attraversato la Valle del Tellaro straripante di mandorli, ulivi e carrubi, i due esploratori raggiungono Noto, dove si attardano fra grotte artificiali contenenti un gran numero di sarcofagi di età romano- imperiale (su uno di essi appariva il rozzo rilievo di un cavallo che Evans abbozzerà sulla carta), pareti istoriate con processioni di santi dalla testa mutilata e i «castelli» di Cava d’Ispica, dimore a più piani scavate nella roccia calcarea e dall’origine remota. L’itinerario tocca successivamente Scicli, le due città di Ragusa con i Cento Pozzi, Kamarina e Gela per poi concludersi a Lentini, ma altre località come Niscemi (identificata con Maktorion), Mineo-Menae e l’acropoli rocciosa di Paliké sono menzionate. A colpire Evans è inoltre il Lago di Naftia, ricoperto di verde e di fiori ma in mezzo al quale vi erano delle polle simili a «calderoni ribollenti», curiosità naturalistica che ispirerà all’archeologo un articolo sul Manchester Guardian, il quotidiano di cui era corrispondente estero.
Questi e altri interessanti dettagli sono riportati da Paola Pelagatti nella premessa al volume mentre una nota conclusiva di Muscolino mette in evidenza l’apporto dello scopritore di Cnosso alla storia della Sicilia. Sarà lui, infatti, a pubblicare il IV volume della History of Sicily dopo la morte del suocero, sopraggiunta nel 1892 a causa del vaiolo. Muscolino ricorda infine l’attività di Evans all’Ashmolean Museum, istituzione per la quale durante i suoi viaggi in Sicilia acquisterà diversi reperti, soprattutto vasi figurati e monete. Apprezzabile anche l’appendice illustrata, in particolare le tavole in cui le immagini di brocchette e fruttiere della prima età del bronzo vengono accostate agli schizzi di uno studioso a tutto campo col gusto per le minuzie.