Fa bene l’amico Troilo a lanciare l’ennesimo appello affinché anche in Italia si arrivi a una seria legge sul fine vita. Nel non lontano marzo scorso era stato lo stesso Capo dello Stato a chiedere che vi fosse una discussione nelle sedi parlamentari. Un egual appello dello stesso Napolitano fu rivolto alle Camere nel settembre 2006, all’indomani del video messaggio che Welby rivolse a lui e a tutte le nostre coscienze. Ora il tempo è passato, ma come spesso accade nel nostro Paese, sembra che non sia mai trascorso. Occasioni di confronto ci sono state: abbiamo osservato, spesso con grande amarezza, tanti altri fatti di cronaca che hanno permesso a ciascuno di fare le proprie riflessioni e di consolidare i propri convincimenti. Ma credo che il tempo della riflessione, dopo otto lunghi anni dal caso Welby, debba considerarsi concluso. In un campo come quello dei diritti civili, nessuno deve pensare che si possa o si debba giungere alla prevaricazione di una parte sull’altra.
Ma non è possibile che a una parte, fosse anche minoritaria, sia impedito il diritto di autodeterminare il proprio fine vita. Questo è il problema: chi rivendica l’esercizio di tale diritto non vuole imporre ad altri uguale scelta. Chi giunge alla sofferta decisione di concludere il proprio matrimonio o interrompere la gravidanza certamente non pretende che la stessa scelta sia imposta ad altri, anzi si augura che non si pongano a chiunque altro neanche i presupposti per una tale decisione.

Mentre c’è chi, partendo dalla convinzione delle proprie pur legittime opinioni, intende ostacolare i diritti degli altri.

Anche la parte politica conservatrice faccia appello proprio a quei valori del liberalismo e riconosca quindi l’autodeterminazione e la libertà di ogni singolo individuo. Abbiamo registrato in questi ultimi giorni le dichiarazioni di due medici, ma speriamo che presto altre ne seguano, che hanno riconosciuto quello che è noto da tempo: le terapie anche salvavita si interrompono, con la conseguente morte immediata o meno del paziente. Questo avviene o per esplicita e contestuale richiesta del paziente, come nel caso Welby, o attraverso una volontà scritta o ricostruita di un paziente non più capace di esprimersi, come nel caso Englaro.

A questo speriamo si possa aggiungere presto la possibilità di richiedere, anche in Italia, l’eutanasia ovviamente in ben determinate condizioni. Pratica questa attualmente presente in pochi paesi, ma in discussione e di prossima approvazione in molti altri.

medico di Piergiorgio Welby,
anestesista all’ospedale di Cremona