Daniela non ce l’ha fatta. Malata di una grave forma di tumore al pancreas avrebbe voluto scegliere come morire ma è rimasta vittima della burocrazia e dell’assenza di una legge. Se ne è andata il 5 giugno scorso senza riuscire a portare fino in fondo la sua scelta. Mario, invece, tetraplegico da dieci anni in seguito a un incidente stradale, forse riuscirà a far valere la sua volontà. Due giorni fa il tribunale di Ancona ha finalmente ordinato alla Asl locale di verificare le condizioni del paziente per accedere al suicidio assistito, come richiesto da lui.

Due storie recenti di cronaca, dietro le quali ne esistono migliaia sconosciute, drammi vissuti all’interno delle mura domestiche. «È inaccettabile che chi è nelle condizioni di Daniela sia costretta a un simile calvario. I malati non possono aspettare i tempi della burocrazia», hanno detto ieri Filomena Gallo e Marco Cappato, segretario e tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, presentano a Roma l’avvio della campagna per il referendum sul suicidio assistito: 500 mila firme autenticate e certificate da consegnare in Corte di Cassazione entro il 30 settembre, grazie anche al lavoro di 5.000 volontari che si sono già registrati e di centinaia di autenticatori.

I primi tavoli si sono aperti ieri a Roma, in largo Argentina, e a Milano all’angolo tra Corso Garibaldi e via Statuto, ma entro la fine di giugno saranno allestiti in tutta Italia. «Se entro il 30 settembre non saranno consegnate in Cassazione almeno 500 mila firme, non sarà più possibile in questa legislatura approvare il referendum», ha spiegato Cappato. Il che significherebbe, ha aggiunto, «avere una legge tra 4 o 5 anni, forse 7-8 anni».

Il quesito referendario prevede una parziale abrogazione dell’articolo 579 del codice penale («omicidio del consenziente») che impedisce la realizzazione di ciò che comunemente si intende per eutanasia attiva (sul modello olandese o belga). In caso di abrogazione si passerebbe dal modello dell’indisponibilità della vita e dell’autodeterminazione individuale, già introdotto dalla Costituzione, ma che deve essere tradotto in pratica anche per persone che non siano dipendenti da trattamenti di sostegno vitale, per i quali è invece intervenuta la Corte costituzionale con la sentenza Cappato-Antoniani.

Il referendum non è però l’unica iniziativa che punta a rompere l’immobilismo con cui da anni il parlamento si rifiuta di discutere una legge sul suicidio assistito. Nelle commissioni Giustizia e Affari costituzionali della Camera è stato depositato a maggio un testo base che, partendo dalla legge di iniziativa popolare, è il frutto tra le varie posizioni dei partiti il sui esame dovrebbe entrare nel merito a partire dalla prossima settimana, anche se un accordo tra le varie forze di maggioranza sembra ancora lontano.

Alla presentazione della campagna ieri erano presenti anche Mina Welby e il deputato ex M5S Giorgio Trizzino, rimosso dal ruolo di relatore della legge, insieme ai partiti che hanno aderito all’iniziativa referendaria: +Europa, Radicali italiani, M5S, Sinistra italiana e Psi. Silenzio per ora, dal Pd, al quale ieri il segretario di Radicali italiani Massimiliano Iervolino ha rivolto un invito a sostenere la raccolta delle firme. «Mi rivolgo al segretario Enrico Letta – ha detto – affinché dia un segnale nella direzione giusta e porti il Pd ad aderire alla campagna referendaria». Per ora l’unica adesione arrivata, a titolo individuale, è quella della senatrice Valeria fedeli, capogruppo dem in commissione Diritti umani.