Non ci sono solo i migranti sul tavolo traballante del Consiglio europeo. Oggi arriveranno al pettine i nodi della governance economica, presente anche il presidente della Bce mario Draghi. Su questo fronte, il capitolo dolente sarà quello degli enormi passi avanti annunciati con grande squillar di trombe e che saranno invece quasi certamente derubricati a passettini molto prudenti e non privi di ambiguità.

IL 19 GIUGNO ANGELA MERKEL ed Emmanuel Macron erano usciti dal vertice bilaterale nel castello di Meseberg dando per fatto l’accordo sul bilancio europeo, una specie di «fase 2» dell’euro tanto più urgente a fronte dell’imminente fine del Quantitative easing. L’idea era stanziare un fondo comune a partire dal quale operare poi a livello di intera Unione in termini di entrate e uscite. Nelle intenzioni dell’Italia, il bilancio dovrebbe mettere in testa alla lista delle urgenze il contrasto alla disoccupazione, che è stato in realtà sempre tenuto in secondo piano. Fonte eminente del finanziamento avrebbe dovuto essere la tassa sulle transazioni finanziarie, la famosa Tobin-Tax. Un nutrito gruppo di 12 Paesi, capitanato dall’Olanda, però si oppone, ritenendo il bilancio comune una specie di regalo ai Paesi del sud. Probabilmente per il momento non se ne farà niente. Tutto rinviato a data da destinarsi e a concordia, al momento lontanissima, ritrovata.

IN REALTÀ LE COSE non stanno affatto funzionando neppure sul fronte nevralgico dell’Unione bancaria. Quello di una piena condivisione dei rischi, cioè di una garanzia comune europea su tutti i depositi bancari, è destinato a rimanere un miraggio. Si oppongono i paesi del Nord, quelli del Benelux e soprattutto si oppone la Germania. Senza la garanzia comune, però, i capitali continueranno ad affluire nei Paesi più solidi invece che, come si verifica di solito, in quelli più convenienti. E ciò impedisce il riequilibrio tra Paesi forti e deboli ed è uno dei limiti strutturali della governance europea, segnalato più volte dagli economisti. Neppure questa volta verrà superato.

IL PASSO AVANTI SARÀ invece certamente il rafforzamento del’European Stability Mechanism, cioè il fondo salva-Stati, che dovrebbe funzionare come «paracadute finanziario». Interverrà per salvare gli istituti a rischio ai primi segnali di crisi. Il punto debole è nelle condizioni di preventiva «riduzione del rischio» che saranno richieste agli istituti per accedere alla copertura del Fondo risoluzione banche. Di fatto dunque la partita si continuerà a giocare sul fronte della riduzione e non della condivisione dei rischi, come vogliono la Germania e i Paesi del Nord. Un fronte che non ha rinunciato all’idea di allargare la vigilanza dell’Esm dall’area bancaria a quella delle finanze pubbliche. Si tratterebbe di uno strumento di commissariamento permanente a cui l’Italia si oppone fermamente. «Non vogliamo un Fondo Monetario Europeo che costringa alcuni Paesi verso percorsi di ristrutturazione predefiniti, ha detto Conte alla vigilia del vertice.

PER QUANTO RIGUARDA L’ITALIA, il confronto con l’Europa sui conti pubblici è già aperto. Il Mef ha escluso la manovra correttiva di 9 miliardi quest’anno e di altri 11 l’anno prossimo, che sarà invece necessaria secondo le previsioni dell’Ufficio studi di Confindustria. Il ministro Tria ha però fatto chiaramente capire che in queste condizioni, con l’obiettivo di rispettare gli impegni già presi con solo lievi correzioni e lo slittamento di un anno per la correzione prevista dei conti pubblici, di reddito di cittadinanza e Flat tax non se ne può parlare. Per il ministro 5 Stelle Fraccaro a finanziare il reddito dovrebbe essere proprio lrEuropa e anche li fondi per la Flat tax dovrebbero arrivare «in buona parte dai tavoli europei».

In realtà ieri dalla Bce è arrivata invece una vera e propria mazzata. Si parte dal possibile intervento sulla riforma Fornero, ma il tono è quello di un monito a tutto campo. Il bollettino economico della banca veicola infatti una critica drastica rivolta alla «discrezionalità adottata nell’accordare una riduzione dei requisiti di aggiustamento a due Paesi». Nel mirino c’è la flessibilità concessa all’Italia, con la correzione passata dallo 0,6 allo 0,3%, e alla Slovenia «a scapito della completa trasparenza, coerenza e prevedibilità dell’intero quadro di riferimento».

LE MISURE ECONOMICHE previste dalla maggioranza sono dunque tutte, per un motivo o per l’altro, messe fuori discussione dall’Ue. Sullo sfondo c’è di certo il nodo dell’immigrazione, dal momento che in parte la flessibilità era stata concessa in cambio della disponibilità ad accettare una condizione penalizzante. Ma per quanto Conte e Tria si sforzino di rimandarlo, prima o poi lo scontro con la Ue sui conti sarà inevitabile.