Il fallimento della Grecia è un problema esclusivamente politico. Il debito greco è nelle mani della ex Troika (Bce, Eurozona, Fmi) che potrebbe ristrutturare/tagliare il debito greco come vuole. La Bce potrebbe garantire tutto il denaro che vuole avendo il monopolio dell’euro e potendo stampare moneta per coprire il debito greco – il 3% del debito europeo totale -. Del resto la Grecia, con un debito pubblico del 177% (rispetto al 130% prima della cura di austerità teutonica) è già un paese fallito. Lo sanno tutti. Ed è fallito proprio a causa delle politiche imposte da Ue e Bce. Tutti sanno che la Grecia non può onorare i suoi debiti: ma ammetterlo è politicamente molto pericoloso.

Se Merkel, che è il decisore finale e di ultima istanza delle questioni europee, decidesse di ristrutturare il debito a Syriza – cioè a un governo socialista che ha deciso di difendere il suo paese e il suo popolo, a differenza di tutti gli altri paesi europei – dovrebbe confessare il fallimento delle sue politiche di austerità di fronte a tutta l’Europa, al mondo e al suo elettorato domestico. Meglio rovinare la Grecia.

Oltretutto i governi di destra, di centrosinistra o socialisti che hanno seguito le politiche tedesche (taglio del welfare, della spesa pubblica, del costo del lavoro, ecc) verrebbero sconfessati. I popoli si chiederebbero perché finora hanno subito sacrifici inutili e controproducenti, se poi un governo di sinistra come quello della piccola Grecia (11 milioni di abitanti) riesce invece a imporre una svolta a una politica tedesca/europea. Le forze di opposizione radicale come Podemos e M5Stelle ne trarrebbero grande vantaggio.

Se le trattative tra eurozona e Tsipras, come sembra, non andranno a buon fine, allora la Grecia non avrà più euro e sarà costretta a emettere un titolo IOU (I owe you, un titolo di debito), una moneta di emergenza, parallela temporanea, probabilmente valida per pagare le tasse, ma soggetta a forte svalutazione. Questa moneta servirà alla Grecia solo a dichiarare fallimento senza però uscire dall’euro. Sarà utile per garantire temporaneamente liquidità interna senza però che il governo Tsipras sia costretto a stampare dracma, cioè senza abbandonare l’eurozona. A quel punto il cerino accesso passerebbe nelle mani di Fmi, Eurozona, Bce. Dovranno decidere se finalmente ristrutturare il debito a uno stato fallito, come è indispensabile, o se invece dichiarare la Grecia fuori dall’euro. I “cattivi” però sarebbero loro, i governi dell’eurozona. A quel punto Tsipras potrebbe essere costretto suo malgrado a stampare dracma ma non avrebbe la responsabilità della Grexit di fronte al mondo e al suo elettorato.

Completamente diversa la situazione italiana: noi non siamo uno stato fallito, non siamo in crisi di liquidità e di insolvenza. E il progetto di moneta complementare all’euro promosso in Italia da alcuni economisti ed intellettuali (tra gli altri anche Luciano Gallino e chi scrive), è molto diverso da quello greco.

Per aumentare la domanda, strozzata dalla deflazione imposta da Bruxelles e Berlino, e quindi per fare crescere l’economia, prevediamo che lo stato emetta a titolo gratuito Certificati di Credito Fiscale per un importo pari in tre anni a 200 miliardi di euro.

A differenza che in Grecia – e questa è una differenza sostanziale – ovviamente tutti gli stipendi verrebbero pagati in euro, e i Ccf, in quanto titoli negoziabili e convertibili in euro, sarebbero aggiuntivi alla moneta unica, e non sostitutivi. I Ccf sono titoli statali che danno luogo a uno sconto fiscale alla pari, ma solo due anni dopo la loro emissione. Sono perfettamente legali secondo i trattati europei. Quindi, come in Grecia, i Ccf permetterebbero di creare liquidità e nuova moneta circolante senza abbandonare l’euro.

I 200 miliardi in Ccf verrebbero assegnati gratuitamente ai lavoratori in proporzione inversa al reddito, e anche alle aziende, in proporzione al numero di occupati. I Ccf verrebbero rapidamente convertiti in euro: le famiglie potrebbero fare ripartire i consumi e le aziende ritornerebbero a lavorare e ad assumere. Grazie al moltiplicatore sul reddito, il Pil aumenterebbe subito di parecchi punti e i conseguenti ricavi fiscali coprirebbero il deficit pubblico che altrimenti si creerebbe con i Ccf. Grazie alla crescita del Pil aumenterebbe l’occupazione e diventerebbe finalmente sostenibile il peso del debito pubblico.

La proposta è sottoscritta anche da Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Stefano Sylos Labini, Maria Luisa Bianco, Massimo Costa, Stefano Lucarelli, Guido Ortona, Tonino Perna (monetafiscale.it)