Il conclave del centrodestra ad Arcore prosegue per ore e rischia di dover riprendere oggi. Si tratta di individuare il candidato per la regione Lazio e a entrare papa è Stefano Parisi, leader di Energie per l’Italia. Sul nome di Parisi si moltiplicano i dubbi. Lui stesso frena, adducendo la tempistica sbagliata: come si fa a scendere in campo all’ultimo momento? In realtà il problema principale sarebbe invece la richiesta di 5 collegi sicuri per la sua mini-formazione. Così in villa torna a echeggiare l’ipotesi Maurizio Gasparri.

 

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MA BERLUSCONI SI IMPUNTA, insiste e alla fine è probabile che il candidato presidente del Lazio sarà proprio l’ex rivale di Beppe Sala a Milano. La dote principale che vanta Parisi, in realtà, non è la competitività nei confronti di Nicola Zingaretti, dato per vincente comunque. E’ il fatto che non crea problemi a nessuno, non essendo né di destra né forzista, e anzi ne risolve qualcuno dovendosi tenere lontano dalla campagna elettorale nazionale. La necessità di evitare ulteriori tensioni si è fatta imperativa dopo il tour di Silvio Berlusconi a Bruxelles e dopo la doppia replica di ieri dell’alleato Matteo Salvini, prima in tv poi, rincarando, in conferenza stampa. Non è questione di sfumature diverse. Quella che il centrodestra spiattella in faccia agli elettori è una divaricazione totale.

Salvini replica secco ai giuramenti europeisti pronunciati da Berlusconi a Bruxelles: «Più Europa in questo momento significa allungare il whisky a un alcolizzato. I vincoli europei sono una gabbia e noi vogliamo aprirla. Per noi verrà prima l’interesse nazionale e un Paese che non controlla la propria moneta non è completamente libero». Non è solo questione di analisi generiche. Salvini rintuzza l’alleato direttamente sulla disponibilità a rispettare il parametro del 3%: «Se danneggia le famiglie e le imprese per noi il numerino 3 non esiste».

FOSSERO SOLO PAROLE si tratterebbe già di una contrapposizione radicale, ma Salvini la sostanzia con due candidature annunciate in pompa magna. La prima è quella del responsabile economico del Carroccio Mario Borghi, esponente della “sinistra” leghista che affronterà nel collegio di Siena Pier Carlo Padoan, il ministro dell’Economia che ieri, dopo la riunione dell’Ecofin, ha massacrato la proposta di Flat Tax definendola «una fatina blu». La seconda e più pesante candidatura è quella di Alberto Bagnai, anche lui uomo di sinistra poi per un tratto vicino a Movimento 5 Stelle ma coerente nella sua radicale ostilità senza appello alla moneta unica o almeno a questa moneta unica. Le parole del leader, sommate alle candidature che squaderna, qualificano la Lega come la principale forza anti-europea, a molte lunghezze di distanza dai 5S che hanno invece stemperato di molto la loro foga anti Euro.

Nemmeno quelle di Berlusconi, d’altra parte, sono solo parole. All’interno di Forza Italia, negli ultimi mesi, sono salite sempre più le quotazioni del super-europeista Antonio Tajani, artefice della “riabilitazione” dell’ex reprobo a Bruxelles. Oggi, se Berlusconi dovesse indicare un candidato premier nell’impossibilità di proporre se stesso, si tratterebbe probabilmente proprio del presidente del Parlamento europeo, cioè del candidato meno gradito a Salvini che si possa immaginare.

COME SE NON BASTASSE anche sul cavallo di battaglia del Cavaliere, la Flat Tax, volano scintille tra partito azzurro e Lega. Il punto dolente si chiama Consulta. Salvini chiede garanzie sulla costituzionalità di una tassa che contravviene al dettato della Carta sulla progressività della tassazione. Gli economisti di Arcore rispondono al leghista con il modello già illustrato da Berlusconi in Europa. A garantire il rispetto della Costituzione sarebbe l’estensione della No Tax Area per i redditi fino a 12mila euro. Sottraendo questa somma, la tassa fissa del 23% verrebbe a pesare poco sui redditi più bassi mentre l’esenzione avrebbe effetti sempre meno percettibili via via che il reddito si alza. In questo modo verrebbe assicurata la progressività e salvaguardato il dettato costituzionale.

Solo che l’argomentazione è scivolosa e neppure Berlusconi riesce a dirsi certo che convincerà la Corte costituzionale: «Nessuno può esserne sicuro in partenza». Nel clima poco amichevole di questi giorni, non è sicuro neppure che basti a convincere il capo leghista.