A Kobane la resistenza curda contro gli attacchi dell’Isis è stata lasciata sola dalla Turchia che metteva nel conto la sconfitta dei curdi. Per fortuna è andata diversamente.
Atene rischia la situazione di Kobane. Il successo di Tsipras ha incarnato la speranza dei greci di non morire di austerità. Un successo della sinistra che vincendo le elezioni ha dimostrato che da una crisi economica devastante, aggravata dalle misure imposte dall’Europa, si può provare ad uscire mettendo nell’angolo la destra neonazista. Dovrebbero fargli un monumento, ma nel coro di applausi c’era anche chi si riprometteva di imitare i turchi a Kobane.

Appena il confronto tra il nuovo governo greco e quelli dell’area Euro si è fatto più duro è scattato il meccanismo che ha schierato sullo stesso fronte sia chi aveva molte ragioni per sostenere Tsipras, sia chi è alfiere delle politiche di austerità ad ogni costo. Nel caso tedesco si può capire: questo paese, che si considera modello da imitare, mentre altri governi hanno ragionato più o meno da vittime della sindrome di Stoccolma.
Finora la Grecia è rimasta sola a reggere lo scontro con la troika. Renzi voleva cambiare le politiche europee ma dopo le prime scaramucce ha cambiato nome ai compiti a casa di montiana memoria oggi ridenominati “le riforme che servono a noi”.

Il piano Juncker ha disponibili solo 21 miliardi di euro e conta in realtà sui soldi che ogni governo metterà nel piano, se andrà bene non verranno calcolati nel debito ma dovranno essere restituiti e pagati gli interessi. Gli evviva alla liquidità della Bce, che comprende i titoli di stato, sono stati precipitosi perché l’80% è a carico delle banche centrali nazionali. Il 12% del restante 20% riguarda iniziative europee, quindi la solidarietà europea è solo l’8% dell’intervento.

In altre parole se qualcuno medita di lasciare l’euro o rischia di essere cacciato sappia che le sue riserve sono già impegnate. La stessa rinazionalizzazione degli interventi consente di finanziare le banche greche in crisi di liquidità perché la Bce si è chiamata fuori.

I governi dei paesi in maggiore sofferenza non riescono a fare fronte comune e il Pse non ha posizioni autonome. Il risultato è che i paesi dell’eurogruppo hanno chiesto alla Grecia di accettare la proroga per sei mesi dei finanziamenti insieme al controllo della troika, senza nominarla, sugli impegni presi dal governo precedente. Come dire: chiunque vinca le elezioni le politiche non possono cambiare.
Se la Grecia dovesse essere costretta a capitolare sarebbe un grosso guaio per tutta l’Europa, anche per gli ambigui imitatori dei turchi, che si troverebbero alla mercé del team dominante a egemonia tedesca. Perfino la tanto agognata flessibilità ne risentirebbe.

Qualcuno sta mettendo nel conto le estreme conseguenze del no alla Grecia, che pure ha individuato una piattaforma realistica: fateci crescere e inizieremo a restituire il debito. Prodi ha detto parole di verità sul debito greco.

Chi fa questi calcoli è un apprendista stregone. Se inizia la rottura dell’euro nessuno può dire dove finirà e se qualcuno pensa che la tempesta investirà altri si illude. Quando parte lo tsunami finanziario le difese, anche quelle della Bce, non è detto che bastino.

Sarebbe bene che il modesto coraggio che ha portato il commissario Moscovici a presentare un testo di accordo che il governo greco era pronto a firmare, ma che è stato rovesciato nei contenuti, risorgesse con nuovo vigore. Potrebbe essere utile a tutti, non solo ai paesi più deboli, ma anche a Italia e Francia. Purtroppo, come i turchi a Kobane, troppi assistono ai “combattimenti” senza il coraggio di mettere in discussione l’unanimità del fronte che isola la Grecia. Altrimenti potrebbero aprirsi scenari interessanti. Angela Merkel ha dimostrato un orientamento prudente e condivisibile sulla crisi ucraina, ma questo non vuol dire che occorra condividerne gli orientamenti in politica economica. Destra e sinistra ci sono ancora, solo che la destra pensa di avere vinto e di bastare per tutti mentre la sinistra sembra troppe volte avere smarrito gli obiettivi per cui dovrebbe “combattere”.