Ve la ricordate, la mossa del cavallo, che amava sollecitare Vittorio Foa? La sorpresa da riservare all’interlocutore, lo strappo ai vestiti che il potenziale avversario vorrebbe cucirci addosso.

Ursula von der Leyen ha presentato ieri al Parlamento Europeo una proposta che, pur mediando con un mix di contributi creditizi e a fondo perduto, allarga i cordoni della borsa e, in quanto Commissione, conferma una svolta in senso comunitario.

Sicuramente un passo in avanti dal nostro punto di vista.

Nei prossimi incontri intergovernativi, in preparazione del Consiglio Europeo rinviato al 18 giugno, gli altri governi si aspettano un’Italia che chiede maggiore solidarietà collettiva nei confronti dei paesi maggiormente colpiti dal coronavirus – con la richiesta, buona e giusta, di un allargamento urgente del Recovery Fund – accompagnata da una resistenza a condizionalità di austerità fiscale e riforme imposte dai virtuosi nordici.

Con una venatura di delusione per non essere stata chiamata ad affiancare la Germania e la Francia, nella pur benefica svolta in senso europeista, ispirata da Merkel e da Macron.

Un’Italia ricca di riferimenti al Manifesto di Ventotene, ma poco capace di proporre ed impegnarsi ad assumere impegni nella costruzione di un’Europa politica.

Giuseppe Conte ha avuto il merito di emancipare l’Italia da una vorticosa oscillazione tra denucie antieuropee e subalternità a regole di austerità neoliberista, imposte dall’alto.

E se fosse proprio il governo italiano il primo a sollecitare condizioni valide per tutti, per accedere alle future erogazioni, sia creditizie che a fondo perduto? Visto che è la pandemia a sollecitarle, che esse siano finalizzate ad una comune politica della salute pubblica, sostenuta dal rafforzamento della prevenzione e della ricerca, tale da trarre un insegnamento dalla babele determinata dalla crisi attuale!

L’evasione fiscale, lo sperpero di denaro pubblico, non sono soltanto un problema italiano, spagnolo o greco.

L’oscenità del trattamento a suo tempo riservato alla Grecia consiste soprattutto nella natura delle misure imposte dalla troika: tutte a carico di lavoratori e pensionati che pagavano le tasse, di beni comuni e infrastrutture dello stato da mettere in vendita, mentre ricconi, grandi evasori e armatori ne sono usciti intonsi.

In altre parole, la prima condizione da porre oggi è quella delle priorità di misure rispondenti al contrasto delle ineguaglianze sociali accentuate dalla pandemia.

Occorre l’abolizione immediata dei paradisi interni all’Unione Europea, per poi combattere quelli esterni, in una logica di separazione della finanza commerciale da quella speculativa.

A nostra volta dovremo, più di altri, impegnarci a rendere più attraente agli investimenti il nostro territorio, semplificando itinerari burocratici e accelerando procedure giudiziarie.

Anche la lotta all’evasione fiscale e il riciclo di denaro sporco, con la tendenza della criminalità organizzata a muoversi verso nord, costituiscono ormai un problema comune.

È ormai chiarito che esiste una connessione tra epidemie e deterioramento dell’ambiente.

Ecco un altro stimolo alla costruzione di un Green Deal, la valorizzazione di beni culturali ed ambientali, che finalizzi il sostegno alle imprese ad un nuovo tipo di competitività e delinei una diversa economia.

Tutte misure che richiedono una poltica europea a gestione unitaria, che superi le dinamiche interne all’eurogruppo, avendo come obiettivo a medio periodo l’estensione dell’euro, quali moneta in grado di resistere e competere col dollaro e col rheminbi, a livello globale.

Un’adeguata condizionalità potrebbe anche servire da antidoto alle tendenze autoritarie in atto, a partire dai principi e dai valori sanciti dai trattati europei vigenti e che vengono disattesi da alcuni stati – in particolare l’Ungheria e la Polonia – che sono i primi a sollecitare e ricevere benefici provenienti dall’Unione Europea.

Da anni l’Europa nel suo insieme viola diritti di asilo sanciti da trattati internazionali, è priva di una politica comune dell’immigrazione di cui ha pure bisogno, non ripartisce equamente oneri e responsabilità che ne derivano.

Nell’interesse di tutti, e non solo di coloro che, per collocazione geografica, hanno frontiere più esposte ai flussi di migranti le cui vite hanno il dovere di continuare a salvaguardare (nel caso dell’Italia, senza trasformare scafisti in gestori di campi di concentramento libici).

La mossa del cavallo, per essere efficace, deve impegnarci ad affrontare problemi comuni, compresi i nostri, tuttora insoluti, quali lo strapotere degli interessi privati e corporativi, prassi legislative, burocratiche e giudiziarie di ostacolo ad una competitività virtuosa, non fondata su bassi salari e mancanza di diritti, sprecchi del denaro pubblico.

Insomma, una condizionalità non da subire, ma da proporre, per noi e per tutti, in vista di un’Europa politica in cui il popolo è sovrano e non sovranista.