Intervista a Marco Marazzi, presidente di Easternational e coautore insieme a Luca Ciarrocca di “Intervista sulla Cina. Come convivere con la superpotenza globale del futuro” (Gangemi Editore).

Nel 2013 il presidente cinese Xi Jinping ha lanciato l’iniziativa One Belt, One Road, con l’obiettivo di definire una rete commerciale e di infrastrutture che faccia da ponte tra l’Asia, l’Europa e l’Africa, sfruttando le antiche rotte commerciali della Via della Seta. Quali sono, secondo lei, i pro e i contro di questa iniziativa?
Dipende da che punto di vista si guarda. Per la Cina, i pro sono senz’altro per ora maggiori dei contro ma non è detto che sarà sempre così. E’ ovvio per esempio che il progetto presenta vantaggi geopolitici ed economici per il paese, ma fino a che punto le policy banks cinesi saranno in grado di sostenere gli sforzi finanziari legati ad investimenti in paesi instabili o in infrastrutture che potrebbero non ripagarsi dal punto di vista economico? E poi, i maggiori beneficiari di questi finanziamenti finora sembrano essere le aziende di stato cinesi, che eseguono gran parte dei lavori infrastrutturali soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Per un paese che negli scorsi 20 anni invece ha cercato di stimolare la crescita del settore privato questo sembra un passo indietro.
Se si guarda dal lato europeo e quindi italiano, il progetto senz’altro può generare effetti positivi per quelle aziende che riusciranno a partecipare ad appalti o subappalti nei vari progetti infrastrutturali o industriali messi in atto dalle aziende di stato cinesi o che beneficeranno del volano economico che questi investimenti possono realizzare. Quantificare questi benefici però ad oggi è molto difficile. Tra i contro invece, c’è la possibile perdita di relazioni privilegiate con paesi che tradizionalmente hanno avuto l’Europa come primo partner commerciale e di investimenti. E che avranno ora la Cina.

Poche settimane fa, il presidente Xi ha compiuto una missione diplomatica in Europa. Prima tappa è stata l’Italia. Tra gli obiettivi fissati dalla leadership cinese c’è anche quello di integrare la Belt and Road Initiative nella strategia individuata dall’Unione europea per promuovere l’interconnessione del continente europeo con quello asiatico. Che ruolo gioca l’iniziativa cinese nel progetto di integrazione economica del continente euroasiatico?
E’ un ruolo fondamentale. Sono convinto che questa integrazione economica sia indispensabile e anche inevitabile. E che l’Europa se la debba giocare bene, nel suo complesso, per evitare di diventare semplicemente l’appendice occidentale di uno spazio economico e commerciale il cui baricentro è spostato interamente ad oriente. A tal fine, l’Europa non deve dimenticare il suo rapporto con gli Usa in quanto anche tramite questo riuscirà a rimanere se non proprio al centro perlomeno vicino al centro delle relazioni commerciali globali.

Durante la visita di Stato di Xi Jinping in Italia, l’esecutivo italiano ha firmato un memorandum d’intesa sulla BRI, aderendo ufficialmente alla Via della Seta. Come valuta questa scelta operata dal governo Conte? Secondo lei, l’esecutivo giallo-verde poteva fare di più?
E’ stato un passo politico importante, ma temo sia stato più importante politicamente per la Cina che per l’Italia. Agendo isolatamente dagli altri paesi del G7 e i partner europei tradizionali l’Italia si è posta in rotta di collisione sia con gli Usa che con Bruxells che invece da tempo sta cercando di avere un rapporto coordinato con Pechino sul tema. Tentativo reso difficile dai paesi membri che invece hanno cercato relazioni bilaterali, soprattutto quelli del centro-est Europa. E adesso dall’Italia. Al di là delle dichiarazioni di principio dell’MoU, spero che il governo abbia ottenuto rassicurazioni concrete sul coinvolgimento preferenziale di aziende italiane nei progetti Bri in paesi terzi e sull’apertura anche del mercato degli appalti pubblici in Cina, che è di fatto chiuso alle aziende italiane, come a tutte quelle straniere, e che vale secondo stime della Eucc più di 1 trilione di dollari. In altre parole, pagare un prezzo politico nei confronti dei nostri alleati tradizionali è giustificato solo se in cambio abbiamo ottenuto ben più di una semplice promessa di coinvolgerci di più in progetti in paesi terzi. Guardo con molto interesse per esempio alla vicenda Alitalia. Non sarebbe male se, pur consapevole delle difficoltà economiche dell’azienda, un gruppo cinese investisse significativamente in Alitalia. Sarebbe un bel segnale che quel rapporto “preferenziale” cercato attraverso l’MoU ha dato qualche frutto.

Quali opportunità può offrire la Via della Seta all’Italia? Quali consigli dà alle aziende del Belpaese che intendono investire nella Repubblica Popolare?
Per l’Europa in generale le opportunità derivano da partecipazioni a progetti in paesi terzi finanziati coi fondi Bri e nella maggiore esportazione di prodotti o servizi. Di per sé, la Bri non prevede una facilitazione agli investimenti esteri nella Rpc. Questo invece è lasciato ad un’evoluzione della politica industriale cinese che si tradurrà si spera in un nuovo Catalog for Guiding Foreign Investment con pochissime restrizioni; senz’altro meno di quelle che ancora esistono. I consigli che do sono di guardare con attenzione al settore in cui si opera. In molti settori la sovraccapacità produttiva e la fortissima concorrenza rendono difficile se non impossibile l’ingresso di un nuovo operatore. La strada migliore da percorrere è l’acquisizione di un player esistente. Esattamente quello che fanno i cinesi in Europa. In altre parole, penso che la vecchia strada della costruzione di uno o più stabilimenti produttivi o la creazione ex novo di una catena di distribuzione in un paese così grande sia obsoleta e fuori tempo massimo. Oltre ad essere fuori dalla portata di molte aziende italiane dato l’investimento pesante e di lungo termine richiesto. Comprare pacchetti di controllo di aziende che hanno già buone quote di mercato deve essere la strada maestra.

Che ruolo giocano i porti italiani nell’ambito della Via della Seta?
I porti italiani possono giocare il ruolo importante di snodo logistico per tutta Europa di merci cinesi che arrivano via mare passando Suez e, non dimentichiamolo, per l’export di merci europee dirette verso la Cina. In concorrenza coi porti del Nord Europa. Questo ruolo dipenderà non tanto da scelte fatte a Pechino ma dalla capacità competitiva dei porti in termini di costi, velocità di procedure doganali e collegamenti con il resto d’Europa. Penso ci sia ancora della strada da fare, ma perlomeno si è individuato il problema e si conoscono i colli di bottiglia.

A Pechino si è aperta la seconda edizione del Belt and Road Forum per la Cooperazione Internazionale. Cosa si aspetta da questo importante appuntamento?
Forse sarà meno trionfale e pieno di aspettative rispetto a quello del maggio 2017. Quest’anno probabilmente dovranno essere date risposte anche alle critiche ricevute dai paesi interessati e spiegato in che modo si intende veramente raggiungere quella situazione win-win di cui si parla.

Come lei sa, è prevista anche la presenza di Conte. Quali suggerimenti dà al primo ministro italiano?
Ascoltare molto gli imprenditori italiani in Cina, soprattutto chi è nel paese da più di 20 anni e le aziende che hanno investito molto nel paese. E cercare di ottenere passi concreti dalla controparte sui temi che le imprese segnaleranno.

Lei è un grande sostenitore dell’Europa. Personalmente, ritengo che un’Europa più unita e più solida sia auspicabile innanzitutto perché fungerebbe da contraltare a due grandi potenze come Stati Uniti e Cina. Qual è la sua opinione a riguardo?
Sono totalmente d’accordo. Nel 2009 quando ero in Cina scelsi di servire per tre anni nel Board della EU-China Chamber of Commerce proprio perché credevo in questo ruolo di un organismo che rappresenta tutte le aziende europee nel paese, dando quindi un peso maggiore della somma di quello delle singole camere di commercio dei paesi UE. E infatti la funzione di lobbying e di pungolo per stimolare aperture maggiori alle nostre aziende in vari settori e miglioramenti legislativi è stata costante e fondamentale. Lo stesso lavoro sta svolgendo la UE tramite i vari tavoli aperti con la Cina incluso soprattutto quello sul Comprehensive Agreement on Investment. E questo lavoro va a beneficio anche di paesi membri che invece remano contro queste iniziative coordinate della UE. E’ stato uno choc per me rientrando in Italia sette anni fa scoprire quanto poco si parlasse nel dibattito politico italiano di questi temi. E quanto divisi possono presentarsi poi i paesi membri nei loro rapporti politici con la Cina, come se questi fossero slegati da quelli economici. Anche per questo ho deciso di entrare in politica, affiancando l’impegno alla mia professione.