La libera circolazione rischia di venire travolta dal panico in cui sta cadendo la Ue in queste ore. I ministri degli Interni dei 28 paesi Ue mettono la sordina sulle “quote obbligatorie”, mentre la Germania, domenica, seguita ieri da Austria, Slovacchia, Repubblica ceca e nel tardo pomeriggio anche dall’Olanda, ha sospeso Schengen ristabilendo i controlli alle frontiere. Polonia e Belgio potrebbero fare la stessa scelta nelle prossime ore. Il ministro degli Interni francese, Bernard Cazeneuve, si piega alle richieste delle destre e afferma da Bruxelles che “sono già state disposizioni” per ripristinare i controlli alla frontiera con l’Italia “se si ripeterà una situazione simile a quella di alcune settimane fa” (a Ventimiglia), ma giudica “stupido” fare la stessa cosa al confine con la Germania. L’Ungheria da oggi impone lo stato d’emergenza, con l’arresto per chi entra illegalmente, l’utilizzazione di containers per ospitare i tribunali alla frontiera con la Serbia che giudicano senza la presenza di interpreti i profughi trattati come criminali, richiusi in campi di detenzione.

La decisione più concreta di ieri, presa in mattinata prima dell’incontro dei ministri degli Interni (e della Giustizia) a Bruxelles, è stato il varo della fase 2 della missione navale EuNavForMed, che permette l’uso della forza contro gli scafisti. Le operazioni dovrebbero partire da inizio ottobre. Per la redistribuzione dei profughi, invece, i ministri degli Interni si riuniscono di nuovo l’8-9 ottobre, ma già si parla di “flessibilità” nell’applicazione del ricollocamento dei 120mila del piano Juncker. Se i blocchi continuano, dovrà venire convocato un vertice dei capi di stato e di governo, che rischia di sancire la frattura che ormai mina la Ue.

Francia e Germania, che cercano di mantenere una parvenza di unione anche se la decisione di Berlino di sospendere Schengen è stata accolta come una sberla da Parigi, chiedono “immediatamente” l’apertura di hotspots in Italia e Grecia (e Ungheria, ma Orban si autoesclude), e affermano che faranno un forte “pressing” sui partner. Per François Hollande, “far rispettare le frontiere esterne è la condizione per poter accogliere degnamente i rifugiati”. Il ministro degli Interni della Baviera, Joachim Herrmann, che non risparmia critiche a Merkel per aver incitato i profughi a venire in Germania, punta il dito contro Italia e Grecia, paesi di primo arrivo, secondo lui responsabili del “caos”.

In pratica, riprende alla grande nella Ue lo scaricabarile dei profughi. Angelino Alfano chiede che “i rimpatri” vengano organizzati da Frontex “con i soldi Ue”. Bruxelles promette che “gli stati invieranno subito funzionari di collegamento” per aiutare i paesi di primo arrivo a fare la distinzione tra chi ha diritto all’asilo e chi deve venire espulso. Cazeneuve parla di “umanità e responsabilità”, sperando di convincere i reticenti alla distribuzione. Per il momento, c’è il programma presentato a giugno, per la ricollocazione di 40mila persone (con offerte solo “volontarie” per ricollocare 24mila persone già presenti in Italia e 16mila che sono in Grecia), mentre è sempre in alto mare il meccanismo di ripartizione per “quote” di altri 120mila. Nei fatti, gli arrivi delle ultime settimane rendono ormai caduche queste cifre, inferiori di molto alla realtà. La Commissione ha messo nel cassetto la minaccia di multe per chi non partecipa alla redistribuzione.

Le richieste dell’Onu, ancora ribadite ieri, per “quote obbligatorie” e gli appelli della Commissione a favore di una soluzione “comune” rischiano di cadere nel vuoto, cosi’ come l’allarme del gruppo S&D: “la politica comune di immigrazione e asilo è l’unica strada per salvare l’Europa dalla disintegrazione”. La posizione tedesca si è di fatto indebolita, con il voltafaccia di Angela Merkel di domenica, anche se sembra fosse destinato a far pressione sull’est reticente. Il portavoce di Merkel, Steffen Steibert, assicura che rimettere i controlli alle frontiere “era necessario, ma nulla cambia” nella politica di accoglienza di Berlino. Per il ministro degli Interni, Thomas de Maizière, deve essere pero’ chiaro che “i richiedenti asilo devono accettare il fatto che non possono scegliere il paese europeo a cui chiedere protezione”. Per il ministro degli Esteri polacco, Rafal Trzaskowski, “l’Europa rischia una crisi istituzionale se impone quote obbligatorie”, impegno ormai sfumato nei documenti di Bruxelles. Il fronte del “no” al piano Juncker sulla ridistribuzione dei 120mila profughi si è ricompattato, Ungheria ormai fuori dalle regole Ue, con Repubblica ceca, Slovacchia, Polonia, Romania (c’è anche la Danimarca, ma il paese ha l’opt out su questi temi, come Gran Bretagna e Irlanda). In Francia, l’ex presidente Nicolas Sarkozy chiede uno statuto speciale per i rifugiati di guerra, che dovrebbero rientrare in patria una volta tornata la pace (questa clausola in effetti esiste, ma è la Commissione a doverla attivare).