L’Eurogruppo è finito a 18, senza la Grecia. Con una constatazione di fallimento: il pacchetto riforme contro soldi freschi è finito. Yanis Varoufakis ha rifiutato l’ultima umiliazione: gli hanno chiesto di firmare un testo dove la Grecia si assumeva la piena responsabilità della rottura. Già a metà pomeriggio, per i ministri della zona euro, come ha riassunto uno dei “falchi”, il ministro finlandese Alexander Stubb, “il piano B diventa il piano A”, cioè il default della Grecia. Tsipras ieri ha parlato ancora al telefono con Hollande e Merkel, per cercare una via d’uscita. Ma l’Eurogruppo è andato avanti nel muro contro muro, malgrado il commissario Pierre Moscovici abbia ancora tentato di far passare la linea che “si puo’ sempre negoziare”.

I falchi hanno vinto, contro una parte dell’Eurogruppo che avrebbe voluto cercare ancora una via del dialogo. L’Eurogruppo ha rifiutato la richiesta di Atene per un “prolungamento di qualche settimana” del programma di sostegno in corso, come aveva chiesto Yanis Varoufakis, “per permettere al popolo di essere ascoltato”, con la convocazione del referendum per il 5 luglio, fatta nella notte tra venerdi’ e sabato da Alexis Tsipras e che ha lasciato di sasso i partner. La riunione dell’Eurogruppo si è quindi concentrata sulla gestione di un eventuale default della Grecia. Martedi’ 30 giugno ci sono due scadenze per Atene: il rimborso di 1,6 miliardi all’Fmi (a mezzanotte, ora di Washington) e la fine della (seconda) estensione del piano di aiuti, cioè evaporano gli ultimi 7,2 miliardi che avrebbero dovuto essere versati alla Grecia. Atene dovrà fare da sola, del resto è dall’agosto 2014 che non riceve più un euro di sostegno dai partner. L’Eurogruppo è stato sospeso poco dopo le 17, con l’abbandono della Grecia, che è stata convocata a discutere con la Bce, per evitare un bank run lunedi’. Il governo potrebbe essere obbligato a imporre un controllo sul movimento dei capitali, un corralito, come in Argentina nel 2001.

Ormai, la preoccupazione dei 18 fa finta di esulare dalla Grecia. “Dobbiamo prepararci a tutto per salvare la stabilità dell’eurozona”, ha affermato il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem. Bisogna cioè evitare che l’eventuale Grexit non trascini con sé, nel medio periodo, altri paesi indebitati. Non bisogna che i mercati si agitino. Lunedi’ e tutta la prossima settimana saranno momenti-chiave.

La giornata era già iniziata male ieri. L’annuncio della notte di Tsipras aveva portato al tavolo della trattativa dei negoziatori estremamente nervosi. Wolfgang Schäuble ha quasi assaporato la sua vittoria: la Grecia “ha messo fine ai negoziati in modo unilaterale” ergo “non c’è nessun aiuto per chi non negozia”. Dijsselbloem si è detto “deluso” dall’annuncio del referendum, “una brutta sorpresa, una triste decisione”, che “chiude la porta mentre era ancora possibile trovare una soluzione”. La soluzione era pero’ a senso unico: l’accettazione delle riforme imposte dai creditori, considerate un ”ultimatum” da Tsipras, anche perché in cambio non c’era l’impegno della ristrutturazione del debito. Eppure, alcuni paesi hanno cercato di far accettare questo deal dall’Eurogruppo, il package finanziario contro la ristrutturazione: all’ultimo anche la Commissione e la Francia. E’ da tempo che l’Fmi chiede che venga accettata una ristrutturazione (anche perché il prestito dell’istituzione di Washington non sarebbe coinvolto). Ieri, Christine Lagarde non ha nascosto preoccupazione per la rottura con Atene: “l’Fmi continuerà a lavorare per restaurare la stabilità delle finanze greche”, seguendo lo spirito di “flessibilità” che, secondo la presidente, è stato la linea-guida finora. L’Fmi, che usato nei giorni scorsi toni minacciosi, adesso teme il default, che metterebbe una croce sul suo credito. Lagarde, che sogna di essere rieletta alla testa dell’Fmi, dovrebbe spiegare ai 188 paesi membri come mai ha prestato tanti soldi a un paese cosi’ a rischio insolvenza, non rispettando le regole di prudenza della “banca” Fmi. Per Lagarde, “serve un approccio bilanciato della crisi greca, con riforme strutturali da parte di Atene, mentre le istituzioni, da parte loro, devono sostenere il finanziamento del paese e agire sul debito”.

Adesso il problema è come gestirà la crisi nell’immediato la Bce, che aspetta tra l’altro per luglio e agosto un rimborso da Atene di 6,7 miliardi. Al consiglio dei governatori una buona parte era da tempo molto critica verso la “larghezza” dell’Ela (liquidità di emergenza) concessa da Draghi. L’ultima offerta dei creditori, da prendere o lasciare, era pronta per l’Eurogruppo di ieri: sul tavolo c’era un finanziamento di 15,3 miliardi e un prolungamento del piano fino a novembre in cambio della firma dell’accordo. Questo comportava, oltre a un avanzo primario dell’1% (accettato da Atene), un calendario molto vincolante di riforme (aumento dell’Iva, tagli alle pensioni, da applicare subito dal 1° luglio, poi soppressione dell’Ekas dal 2019), alla cui esecuzione erano strettamente legati i versamenti. Nei fatti, i soldi promessi dai creditori sarebbero soltanto serviti a far fronte al rimborso di Fmi e Bce.