Eugenio Giani, 61 anni, socialista poi entrato nel Pd (sulla scrivania tiene la foto autografata di Sandro Pertini, il suo idolo), avvocato prestato alla politica da trent’anni, quasi tutti spesi in consiglio comunale a Firenze, gli ultimi 5 alla guida del consiglio regionale della Toscana. Ha fama di storico autodidatta ma ferratissimo, capace in ogni borgo toscano che visita di raccontare all’impronta un episodio o un aneddoto del passato.

Lei questo fine settimana potrebbe passare alla storia, se dovesse perdere la regione rossa. Che affetto le fa?(sorride) «In effetti è così. Io spero di passare alla storia per aver difeso il modello Toscana in un momento così difficile e delicato. Quel modello che ci ha fatto conoscere in tutto il mondo».

Tutti gli occhi, anche all’estero, sono su di lei, come a gennaio su Stefano Bonaccini nella rossa Emilia-Romagna.
«Gli occhi non sono su di me, ma sulla Toscana, l’unica regione italiana insieme alla Sicilia declinata in una parola inglese: Tuscany. Io vorrei che le persone votassero sul futuro di questa terra meravigliosa, non sul destino del governo Conte. E le invito fare questo. Salvini ha già provato a utilizzare l’Emilia per altre finalità. Poi dal 27 gennaio non si è fatto più vedere».

Eppure si dice che se perdete crolla il governo e anche la segreteria del Pd.
«Questa è la percezione che viene diffusa sui media nazionali, non credo che corrisponda al sentire profondo dei toscani. Io vorrei essere visto come un sindaco tra i sindaci, uno che sta in mezzo alla gente, non uno che ambisce a ruoli nazionali».

Bonaccini le ha dato consigli?
«Stare incollato ai problemi del territorio, lavorare con i sindaci e non dare appigli a chi vuole trasformare le elezioni qui in una sfida nazionale. Suggerimenti che ho accolto in pieno: su 273 sindaci ben 186 hanno sottoscritto la mia candidatura».

Nel 2015 il governatore Enrico Rossi diede quasi trenta punti di distacco al leghista Claudio Borghi. Cosa è successo in questi 5 anni per arrivare a un testa a testa?«Allora il centrodestra era diviso, stavolta è unito. E poi non dimentichiamo che su 11 capoluoghi loro ne governano 6, e che già alle europee del 2019 i due schieramenti erano quasi in pareggio».

Lei viene considerato tradizionalmente molto forte a Firenze e in altre città d’arte molto penalizzate dal Covid e dal crollo del turismo.
«Da metà agosto si vedono anche a Firenze dei segnali di ripresa, non sono arrivati gli americani e gli asiatici ma gli italiani e gli europei sì. Questo dramma del Covid può darci l’opportunità di puntare sulla Toscana diffusa dei piccoli paesi, sulla costruzione di nuovi flussi turistici».

La crisi morde anche da voi. Quali sentimenti ha incontrato tra le persone?
«Non parlerei di rabbia sociale, ma certamente di preoccupazione per l’economia. Ora arriveranno i soldi del Recovery Fund e si spera anche del Mes per la sanità, quasi un nuovo Piano Marshall. Solo il centrosinistra ha la credibilità per utilizzare bene questi fondi, con Salvini saremmo già stati fuori dall’euro.

Cosa vorrebbe cambiare del sistema toscano?
«Io manterrò la sanità pubblica per tutti, a differenza di Susanna Ceccardi della Lega che pensa a un modello lumbard. Vorrei però migliorare la sanità territoriale, aprire 30 nuove Case della salute. In economia vorrei mantenere il rapporto virtuoso pubblico-privato dei nostri distretti, dal cuoio al tessile alla meccanica, e fare un salto di qualità nella promozione dei nostri prodotti agricoli e della cultura, dalla musica ai beni monumentali».

Il governatore Rossi le consiglia di parlare di più con i mondi della sinistra.
«Lo faccio dialogando coi sindacati, e apprezzo in particolare la mobilitazione dello Spi Cigl per aiutare gli anziani a recarsi alle urne. Poi punto sugli asili nido gratis per le famiglie con Isee inferiore a 40mila euro».

A sinistra lei viene considerato troppo moderato, esponente dell’era renziana del Pd.
«Credo in una società che difenda alcuni valori: i diritti, la civiltà, l’apertura. In Toscana abbiamo abolito la pena di morte nel 1786, poi abbiamo fatto la Resistenza. Ma voglio tenere anche un profilo riformista, pragmatico, vorrei rivolgermi a una parte molto larga della società toscana».

Anche a elettori delusi di Forza Italia?
«Credo di avere dimostrato una serietà che può piacere anche a elettori più moderati che non apprezzano un profilo come quello della Ceccardi, una che ha fatto il sindaco a Cascina per un anno, poi è andata al ministero con Salvini, un anno fa all’Europarlamento e ora vorrebbe cambiare ancora mestiere. Le pare

serio?».
Il candidato di «Toscana a Sinistra» Tommaso Fattori ha detto al manifesto che tra lei e la sua avversaria sono più le somiglianze delle differenze.
«Tommaso mi pare abbagliato dall’integralismo ideologico e così rischia di fare come Ponzio Pilato, restare indifferente alla sfida. Io non voglio nuovi termovalorizzatori, la destra ne farebbe 10; io vorrei ripubblicizzare i servizi locali a partire dall’acqua, loro no; sulla sanità le differenze sono enormi. Potrei

continuare…».
Lei viene definito come un presenzialista, sempre a tagliare qualche nastro. La Ceccardi la chiama «mangiatartine».
«Se vengo invitato mi fa piacere andare dalle persone. E se mi invitano evidentemente è perchè ritengono che abbia dato una mano a realizzare quell’opera o quell’evento. Io lo ritengo un vanto, se qualcuno per invidia si rifugia nel sarcasmo sono problemi suoi. Io in questi anni sono stato in tutti e 263 i comuni toscani».

Renzi che la sostiene ha ammesso che lei non è un «influencer», che non tira sui social…
«In Italia si sta esagerando con i professionisti delle campagne elettori. Salvini è uno di questi, poi governare è un’altra cosa. Io ho passato anni a studiare la macchina amministrativa per poter realizzare i progetti. Per offrire una migliore qualità della vita bisogna saper amministrare, non fare gli influencer su Instagram…».